Non una resa ma una consegna
“Consegnò lo spirito” (paredoken to pneuma). È un unicum in tutta la letteratura greca. Gesù muore come muore ogni essere umano, ogni essere creato. Ma chi era sotto la croce non disse che, al pari di tutti, egli “diede l’ultimo respiro”. Era un’altra cosa quella che accadde quel pomeriggio sul colle del supplizio. La morte di Gesù appariva come il più grande fallimento, una clamorosa sconfitta, penosissima. Abbandonato da tutti, tradito, rinnegato, lasciato solo ad affrontare un processo iniquo, senza che nessuno gli fosse vicino, che lo difendesse, con il popolo che gli si rivolta contro, condannato alla pena più infamante e disumana, schiacciato dalle torture, morì poche ore dopo essere stato crocifisso, prima di quelli che erano stati crocifissi con lui, tanto che il Procuratore romano ne restò meravigliato.
Ma il Vangelo di Giovanni non dice che morì, usa piuttosto quell’espressione del tutto inusuale: “consegnò lo spirito”. Lo stesso Vangelo aveva riportato le straordinarie parole del “pastore buono”, pronto a dare la vita per il suo gregge: «Nessuno mi toglie la vita – aveva detto –: io la do da me stesso». Non gliel’hanno strappata né il Sinedrio, né i Romani, né il popolo che gridava “crocifiggilo”. L’ha donata lui stesso, l’ha “consegnata” volontariamente, perché amava la sua gente e aveva dichiarato che l’amore più grande è quello che giunge a dare la vita per gli amici.
Anche Ignazio di Antiochia, il “martire” per eccellenza, nella lettera che scrive ai cristiani di Roma, li prega di non intercedere presso le autorità perché gli risparmino la morte: non saranno loro a togliergli la vita, non saranno le belve del Colosseo, la offre lui, in continuità e in unità con quella che Gesù ha offerto sulla croce. A Massimiliano Kolbe non fu un’iniezione di cianuro a togliergli la vita: l’aveva già data in cambio della vita di un altro prigioniero.
Torniamo alla croce. A chi dunque Gesù consegna lo spirito? Il Vangelo di Luca afferma che lo consegna nelle mani del Padre. Alla nascita di ogni vita il Signore infonde il suo spirito, alla morte glielo si rende. Secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù consegna lo spirito dopo aver “reclinato il capo”. È soltanto il segno del morire o non forse che la consegna è fatta a chi sta sotto la croce, alla madre e al discepolo amato che simbolizzano l’umanità? Lo spirito di Gesù scenda a generare una nuova creazione, come nella prima lo Spirito aleggiava sul caos trasformandolo in cosmo. Sulla croce è già resurrezione, è già Pasqua, ed è già affusione dello Spirito, è già Pentecoste, è nascita di vita nuova.
La pandemia ci ha tolto tante vite. Adesso sembra scomparsa, ma subdola, continua a scompigliare l’esistenza delle nostre famiglie, generando povertà, paura, rivolta. La vita viene tolta crudelmente sui campi di battaglia, quelli in Ucraina e quelli altrettanto crudeli che vengono documentati solo saltuariamente. Non vi riconosciamo la morte di Gesù che continua nei secoli, fino nel nostro oggi?
Chissà se questi drammi, queste morti, non possano vedere, al pari di quanto è accaduto sulla croce, un’alba di resurrezione e non possano essere trasformate da resa a consegna, così che la vita continui. La contemplazione del Cristo che nella morte vive la resurrezione potrebbe essere ispirazione per trasformare tutti in dono.
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