“Non siamo una repubblica presidenziale”
Mai abbiamo assistito ad una crisi istituzionale così grave nella nostra repubblica. Il Parlamento esprime, anche se a fatica, una maggioranza governativa e il Presidente della Repubblica si appresta a nominare un governo tecnico per sciogliere nuovamente le camere appena elette. Delusione, proteste anche scomposte, richieste di impeachment, spaccatura nel paese. La situazione politica è in continua e rapidissima evoluzione e potremmo assistere a nuove sorprese.
Se è ancora difficile immaginare gli scenari futuri, è però possibile dare un giudizio su quanto accaduto finora. A mio avviso non si è trattato di un irrigidimento reciproco sul nome di Savona come ministro dell’economia, che sarebbe da irresponsabili su entrambi i fronti, ma di un veto da parte di Mattarella su un punto fondamentale del programma di governo sintetizzato da Lega e M5S, quello della revisione delle regole europee, in particolare su Euro e politiche monetarie.
Mi sembra chiaro infatti che senza tale revisione, almeno tentata, molti punti del “programma del cambiamento” non sarebbero neppure immaginabili. Che fosse il taglio del debito, la possibilità di investimenti superando gli attuali parametri o altro, era un punto fondamentale e imprescindibile. Savona rappresentava tutto questo e Mattarella l’ha detto con estrema trasparenza: non è una questione di persona ma di indirizzo politico.
Per questo è saltato tutto.
Per alcuni questo rientra nelle sue prerogative, per altri compreso il sottoscritto, Mattarella ha fatto un grave errore istituzionale che potrebbe causare un periodo di pericolosa instabilità politica. L’articolo 92 della costituzione è molto sintetico: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”.
Secondo alcuni il presidente della Repubblica può certamente rifiutare la nomina di qualche ministro, ma solo per motivi oggettivi, come moralità, conflitto di interessi o altro. Non dovrebbe però dare l’indirizzo politico al governo.
Le valutazioni di Mattarella sull’Euro come fattore di crescita e stabilità sono sue e di molti altri ma non tutti le condividiamo.
Anzi milioni di elettori ormai pensano il contrario, cioè che la moneta unica e le politiche ad essa collegate siano fonte di disuguaglianza, con Paesi ricchi che diventano più ricchi e Paesi meno ricchi che si impoveriscono sempre più. Io sono tra quelli che, al di là delle valutazioni di merito e giuridiche, credono che nel metodo Mattarella abbia travalicato, almeno politicamente, il suo ruolo di arbitro garante della Costituzione.
La nostra non è una repubblica presidenziale e neppure semi-presidenziale. A mio avviso avrebbe dovuto lasciar formare il governo e poi eventualmente mettersi di traverso su singoli provvedimenti se li avesse giudicati palesemente anticostituzionali.
Anche giudicare da parte sua cosa è stato detto in campagna elettorale mi sembra inopportuno. Nel nostro sistema parlamentare, confermato dalla bocciatura del referendum costituzionale da parte degli elettori e dell’Italicum da parte della Consulta, è del tutto normale che le alleanze si formino o riformino dopo le elezioni, con il conseguente nuovo indirizzo politico frutto di un compromesso e non elaborato in campagna elettorale.
È invece una positiva novità che un’alleanza post-elettorale presenti ai cittadini un programma scritto piuttosto esaustivo da attuare durante la legislatura.
Inoltre il rischio è che dalle nuove elezioni non esca alcuna maggioranza oppure la stessa maggioranza, ma facendo perdere al paese mesi preziosi e magari ripresentando lo stesso conflitto istituzionale di oggi. Oltre ad esporre il mio pensiero, vorrei però raccontare due fatterelli personali. Essendo tutto sommato speranzoso sul tentativo del governo Conte, sono rimasto anch’io molto deluso e frustrato dall’azione del Presidente. Ieri e oggi ho incontrato in treno due amici che la pensano in modo opposto al mio su tale questione. Con ognuno di loro ho discusso anche animatamente. La politica, si sa, rischia di appassionare ma anche di dividere. Eppure siamo riusciti a dialogare portando argomenti senza scontri ideologici e mantenendo sempre la stima e l’amicizia. Io ne sono uscito con qualche dubbio in più e spero che anche a loro qualche dubbio sia venuto. Ognuno di noi ha a cuore l’Italia e anche l’Europa e, anche se la vediamo in modo molto diverso, rimango aperto e anzi sfido gli amici che non la pensano come me a portare argomentazioni che mi facciano cambiare idea. Spero che questo atteggiamento di dialogo e non di scontro pervada sempre più la nostra società dal basso fino ad arrivare nelle più alte istituzioni.
NOTA EDITORIALE
Nel quadro di “una crisi mai vista” Città Nuova offre spazio ad un dialogo aperto, approfondito e rispettoso come miglior contributo alla vita democratica del nostro Paese