Non potremo dire di non aver saputo
Il Rapporto annuale del Centro Astalli per i migranti e i rifugiati contribuisce a mostrare l'urgenza del rispetto dei diritti umani da salvaguardare per tutti.
Mentre in questi giorni arrivano dal Pontificio consiglio per i migranti messaggi espliciti sulla necessità di assicurare che il Mar Mediterraneo sia considerato “mare nostrum” inteso come mare dei diritti umani, non possiamo non ricordare quanto scriveva don Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, nel giugno 2009, all’indomani dei primi respingimenti in mare dei clandestini. «È una vittoria amara per tutti, sapere che i clandestini, rispediti al mittente, vengono raccolti nei furgoni come cani, bastonati e legati, e trasportati in campi profughi da sorveglianti muniti di maschere per gli odori nauseabondi». E ancora: «è una vittoria amara, se la maggior parte delle donne e molti dei minori vengono ripetutamente violentati; se i container viaggiano nel deserto con il loro carico umano per due tre giorni, senza viveri né acqua; se ogni anno tre-quattromila persone muoiono perché abbandonate nel deserto lungo la frontiera libica, e altrettante vengono vendute ai mercanti di schiavi».
La Caritas ha, senza esitazione, stigmatizzato una «polemica politica che semplifica tutto e banalizza, illudendosi di fermare l’alta marea delle migrazioni» e facendo credere che «i problemi planetari – la povertà, la fame, l’ingiustizia, la guerra, la società multietnica – non richiedano impegno duro e faticoso per raggiungere soluzioni reali, ma sia preferibile rimuoverli, allontanarli, seppellirli altrove».
Nell’ottobre del 2009 il Servizio internazionale dei gesuiti per i rifugiati ha diffuso la testimonianza di una donna eritrea, proprio mentre le agenzie battevano la notizia dei suoi 73 connazionali annegati per naufragio, dopo venti giorni alla deriva e il rifiuto di altre imbarcazioni di trarli in salvo. Il racconto della giovane mamma di un bambino partiva dall’omicidio politico del marito, alla fuga tramite la traversata del Sahara fino alla carcerazione in Libia senza alcun rispetto per i diritti umani. «Vivevamo ammassati, senza bagni, senza la possibilità di parlare con qualcuno, di capire cosa stesse succedendo. Ho assistito a violenze e percosse da parte dei militari ai danni delle donne. Facevano tutto senza vergogna, non si nascondevano nemmeno agli sguardi dei bambini». E la stampa missionaria non ha avuto alcuna remora a denunciare l’accordo del 30 agosto 2009 con cui Italia e Libia hanno definito pendenze di carattere storico assieme ad uno scambio tra opportunità economiche e contenimento dell’immigrazione irregolare dalla Libia. Un Paese che, come riportano le fonti di Human Rigts Watch, non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 e non riconosce l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Come è stato fatto notare nella presentazione del rapporto annuale del Centro Astalli, espressione italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, è inadeguata la prospettiva del singolo Stato davanti al dramma della richiesta di asilo, perché «troppo viziata da interessi politici ed economici». Padre La Manna, direttore del Centro, richiama perciò la proposta concreta avanzata nella Caritas in Veritate di Benedetto XVI di istituire «un’autorità mondiale capace di far rispettare le regole stabilite nelle convenzioni e nei trattati e quindi tutelare i diritti di migranti e rifugiati» che fanno parte dei diritti inalienabili di ogni essere umano. A pochi mesi dall’applicazione del Pacchetto sicurezza e dell’accordo con la Libia, il Rapporto deve constatare come, ormai, i respingimenti verso il Paese del nord Africa non facciano più notizia: «sono una prassi abituale, una procedura come un’altra, che viene espletata a buona distanza dalle nostre acque territoriali, il più delle volte senza un coinvolgimento diretto delle nostre navi».
E, tuttavia, neanche il calo degli arrivi ha migliorato il sistema di accoglienza per i rifugiati. Non è garantito quel diritto minimale richiesto da chi arriva in cerca di protezione dopo aver subito violenze di ogni tipo e viaggi estenuanti. Il Rapporto permette di avere un quadro approfondito sulle condizioni degli oltre «19 mila richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2009 si sono rivolti alla sede italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati e hanno usufruito dei servizi di primi e seconda accoglienza». Particolare attenzione è dedicata alle vittime di tortura, prevalentemente provenienti dai paesi africani, che non godono in Italia di un trattamento adeguato, ma hanno la sensazione di essere «trattati con diffidenza e sospetto proprio da chi dovrebbe offrire tutela».Un quadro ricco di numeri, dolore e umanità offerto dal lavoro di 316 volontari e 60 operatori chiamati, ogni giorno, ad «una sfida quotidiana ai luoghi comuni e agli stereotipi che sembrano dilagare ovunque».
Un’istantanea da conservare in questa primavera del 2010.