Non possiamo stare a guardare

Il Fondo famiglia-lavoro istituito dal card. Tettamanzi ha aiutato ad oggi quasi 3mila famiglie e distribuito fondi per circa 6 milioni di euro. Uno stimolo per la Milano individualista ad aprire i propri orizzonti.
tettamanzi

«Non possiamo stare a guardare! Occorre agire. E l’azione ora deve privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro e non sarà più in grado di mantenere dignitosamente sé e la propria famiglia. Certo, la nostra Chiesa ambrosiana è da sempre accanto alle persone che soffrono forme di antica e nuova povertà. Ma sento il bisogno di rinnovare l’appello alla responsabilità di tutti e di ciascuno affinché il miracolo della solidarietà si ripeta anche in questo momento difficile». Con queste parole nell’omelia della notte di Natale del 2008 l’arcivescovo di Milano mons. Dionigi Tettamanzi lanciava il “Fondo famiglia e lavoro”, affidando alla Caritas Ambrosiana e alle Acli l’erogazione del denaro. La prima somma stanziata, un milione di euro, fu data proprio dal cardinale, che aveva attinto dal fondo per opere di carità, dalle offerte che gli erano pervenute in quei giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e sue personali. Da allora e fino ad oggi – secondo i dati della Caritas – l’iniziativa ha aiutato 2.896 famiglie, e distribuito fondi per 5.998.755 euro.


Inizialmente gli aiuti sono andati soprattutto a famiglie straniere in difficoltà. Poi, con la crisi economica sempre più grave dell’autunno scorso, si è registrato un capovolgimento: immigrati e giovani hanno lasciato spazio a famiglie e lavoratori italiani licenziati dopo anni di servizio in azienda. E ancora oggi le richieste non accennano a diminuire. «Esauriti i risparmi personali e la rete di solidarietà familiare, sempre più persone si appellano al Fondo» spiega Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana. «Già nei primi mesi di operatività, a inizio 2009, i volontari dei Centri d’ascolto incontravano persone che la crisi aveva posto in situazioni drammatiche». Il riferimento è agli immigrati, ai precari, ai giovani da poco entrati nel mondo del lavoro e più facilmente licenziabili. Oggi la situazione è diversa: «Chiedono aiuto famiglie che mai avrebbero immaginato di doversi recare alla Caritas. Sono i nostri vicini di casa, i nostri amici. Sono persone “normali” che, erroneamente convinte di avere un posto di lavoro solido, hanno acceso mutui e allargato la famiglia. Per poi trovarsi spiazzati davanti alla perdita del reddito».


Per tanti cittadini italiani, mancando l’assistenza sociale, la Caritas diventa l’unica alternativa per sopravvivere. «Dobbiamo eliminare – chiarisce il vicedirettore – la mentalità secondo cui siamo tutti individui che devono cavarsela da soli. La strada da percorrere porta alla creazione di comunità solidali all’interno delle quali potersi confrontare senza vergogna. Con la consapevolezza che ciò che è successo oggi a un amico potrebbe accadere domani alla mia famiglia». È in questo snodo che si gioca l’idea del Fondo: «L’ha detto il cardinale Tettamanzi: a partire da questa iniziativa le parrocchie possono creare una rete di persone in grado di affrontare diverse problematiche». Non sono necessari grandi gesti, spiega, spesso «è sufficiente offrirsi di curare i figli di una persona disoccupata, così da permetterle di cercare un lavoro». A ciò si aggiunge il ruolo del Fondo come stimolo a ripensare gli stili di vita all’insegna della sobrietà e della solidarietà: «Se non si cambia, la crisi non sarà mai superata. I segnali non sono incoraggianti: basta guardare le vendite sempre in aumento di Superenalotto e Gratta e vinci. Nel loro piccolo sono lo specchio di una società che preferiva l’investimento in borsa e i giochi finanziari alla produzione. Esattamente la mentalità che ha provocato la crisi economica».


Interessante è la lettura delle aree di richiesta di aiuto della diocesi milanese. La zona di Monza, della Brianza e il vimercatese, colpiti in modo drammatico, hanno beneficiato di maggiore assistenza. Oltre un milione di euro è arrivato alla zona pastorale di Monza; poco meno è stato distribuito a Rho. Seguono in ordine Milano città, Sesto, Varese, Melegnano e Lecco.



 

«Perdevamo la casa senza il sussidio» Katia e Andrea. Classe ’75 lei, del ’65 lui. Sposati da 12 anni, un figlio nato nel 2002, vivono a Busto Arsizio. Lo scorso anno scelgono di acquistare un appartamento più spazioso. «Avevamo tutti e due un buon stipendio e un posto con contratto a tempo indeterminato – spiega Katia – così abbiamo acceso un mutuo e ci siamo trasferiti nella nuova abitazione». Appena dopo l’estate, il licenziamento. «È stato un fulmine a ciel sereno, non me lo sarei mai aspettato. Nessun motivo legato alla mia condotta: semplicemente la ditta in cui ero impiegata non aveva più commissioni. Contemporaneamente mio marito, operaio, è entrato in cassa integrazione». Katia si è recata in Comune per chiedere un aiuto: lì l’hanno indirizzata alla Caritas. «Ho trovato molta disponibilità e ho fatto richiesta per un contributo dal Fondo famiglia-lavoro, che mi è stato concesso. La cifra non è alta, ma ci dà un po’ di respiro con le rate del mutuo. Per il resto ci aiutano un po’ i miei genitori». Alle vacanze estive, aggiunge, «non ci pensiamo neppure. Anzi, sappiamo che a fine anno la ditta di mio marito chiuderà i battenti. Comprimiamo al massimo le spese, ma il mutuo rimane sempre». L’unica nota positiva, conclude, «è che nostro figlio non sta risentendo della situazione. Fortunatamente per ora riusciamo a tenerlo fuori dalle tensioni». (F.M.)


 

«Ci è crollato il mondo addosso» Mauro e Patrizia un giorno di fine agosto si sono sentiti «crollare il mondo addosso». Lei è casalinga, lui operaio specializzato in un’azienda di Sesto San Giovanni. Entrambi trentacinquenni, sposati da 10 anni, tre anni fa sono diventati genitori di Francesco. «Da settembre – racconta Mauro – sono in mobilità». Una situazione inaspettata: «Lavoro da 15 anni nella stessa ditta e mai avrei pensato di dover cercare un’altra occupazione. Avevo un buono stipendio, i rapporti con colleghi e capi erano ottimi. Eravamo la classica famiglia felice e serena. La crisi ha rovinato tutto: in poche settimane sono crollate le ordinazioni in ditta e, pare, i licenziamenti sono stati inevitabili». Entrambi impegnati in parrocchia, conoscevano il Fondo famiglia-lavoro: «Avevamo anche dato la nostra offerta in chiesa per il Fondo e poi ci siamo ritrovati dall’altra parte, ad essere noi i bisognosi. Devo dire la verità: non ci siamo vergognati a chiedere aiuto». I 1.500 euro ricevuti hanno permesso di coprire tre rate del mutuo. «Speriamo – conclude Mauro – che la crisi finisca prima possibile. Senza lavoro una famiglia non può vivere». (F.M.)

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