Non perdono la bussola
Pensate davvero che sia facile prendere in mano una cartina topografica muta, ossia senza alcuna indicazione scritta, e raggiungere di corsa, in successione prestabilita, una serie di punti indicati dalla piantina, senza perdervi, col semplice aiuto di una bussola? Se siete attratti da questa sfida, l’orientamento, o più correttamente l’orienteering, come viene chiamato in tutto il mondo, è la disciplina che fa per voi. Nata nei paesi Scandinavi all’inizio del secolo scorso, unendo strettamente le capacità atletiche di uno sport di resistenza con quelle di riconoscimento dell’ambiente naturale, si è diffusa in tutto il mondo ed è oggi, a buon titolo, considerata una delle discipline più divertenti, ma soprattutto più educative, anche a livello scolastico. Dati i lunghi periodi in cui prati e boschi del nord sono coperti di neve, l’orienteering era praticato inizialmente con gli sci di fondo ai piedi, un leggio al petto a reggere la cartina e la bussola al polso. Naturalmente anche le competizioni erano appannaggio esclusivo degli atleti nordici: fino al ’94, anno in cui un atleta italiano, Nicolò Corradini, entrò a sorpresa nel gotha mondiale dello sci-orienteering portando in Italia il trofeo iridato, ripetendosi poi per altre tre volte. Da allora l’orienteering ha avuto anche nel nostro paese un forte sviluppo, divenendo disciplina praticata anche nei campionati scolastici grazie al progetto “Natura e sport chiamano scuola”. Sono oggi più di 5 mila i praticanti tesserati per questa disciplina (trecento circa per la versione invernale), ma alle gare, che sempre hanno un carattere open, può partecipare chiunque: grazie a questa formula, che meglio di ogni altro proclama fa degli orientisti davvero un’autentica famiglia e di questa disciplina uno sport per tutti prima che di una élite agonistica, semplici curiosi o appassionati possono gareggiare, divisi in categorie omogenee, sui medesimi percorsi degli atleti di valore mondiale. Un po’ come sfidare Schumacher a Monza con la propria Panda. Per testimoniare ancor di più la sua valenza di sport popolare ed accessibile a tutti, in molte competizioni è prevista anche la categoria famiglie, con genitori e figli sguinzagliati in questa intelligente “caccia al tesoro”. La passione per questa disciplina ha fatto sviluppare anche la sua versione in mountain-bike, il cosiddetto mtb-o, in cui la ricerca delle “lanterne”, i simboli di stoffa bianca e arancione da trovare in punti prestabiliti, avviene in bici da montagna, rimanendo però, nel più genuino rispetto per la natura, su strade forestali o su sentieri segnati. Da qualche anno ha preso piede anche il trail-o, in cui non conta la velocità, ma sono invece maggiori le difficoltà di interpretazione della cartina, variante aperta anche a persone con qualche disabilità. Per rendere accessibile infine ad un numero ancora maggiore di persone l’accesso a questo sport, da qualche anno gli orientisti hanno lasciato boschi e radure per gareggiare anche in città, in particolare in quelle più ricche di fascino: centri storici medioevali, celebri piazze, pittoreschi vicoli, sono divenuti non solo affascinante cornice, ma originale terreno di gara. Così è nato il park-o, l’orienteering nei parchi e nei centri storici, con un proprio circuito mondiale che passa per Praga, Budapest, Vienna e così via. L’ultima sfida si è svolta recentemente a Matera, fra i celebri “sassi”, e ad Alberobello fra i “trulli”. Queste gare molto brevi, disputate in spazi cittadini relativamente limitati, hanno reso l’orienteering sport appetibile anche per le televisioni, un problema storico per questa disciplina che si svolge in spazi aperti e con atleti che partono scaglionati uno ogni minuto. Ai recenti mondiali in Finlandia si è riusciti a rendere massima la spettacolarità dotando ogni atleta di Gps, il rilevatore satellitare, che consentiva a tutti di visualizzare istante per istante, in tv e su un maxischermo, la posizione di ogni concorrente e la sua scelta di percorso. Ma il fascino unico offerto dall’orienteering rimane nella sua pratica: non esiste altra disciplina in cui ogni partecipante sia chiamato a scegliere liberamente il percorso che ritiene migliore dopo aver “letto” la cartina consegnatagli solo al via. Le cartine d’orientamento, in scala fino ad 1:2.500, sono frutto del lavoro di esperti cartografi e contengono minuziose descrizioni di ogni particolare del terreno, comprese le curve di livello altimetrico. Il concorrente forte nella corsa preferirà seguire i sentieri segnati, il più abile nell’orientamento opterà per scelte più dirette fra un punto e l’altro, senza seguire tracce sicure. Entrambi, all’arrivo, dovranno fare i conti con il cronometro e comunque testimoniare di essere passati nei punti previsti, esibendo il cartellino con le “punzonature” manuali o, come oggi è già possibile, elettroniche. Per diventare orientisti basta presentarsi al via di una delle tante manifestazioni organizzate dalla Federazione Italiana Sport Orientamento (www.fiso.it) oppure seguire i numerosi corsi di avviamento aperti a tutti.