Non è mai troppo tardi: intervista a Raimundo Gaby

L’artista e docente universitario Raimundo Gaby, di origini Brasiliane, insegna come non si è mai troppo grandi per seguire le proprie passioni e coltivare la propria creatività. Una visione dell’arte come sostegno nei momenti difficili e ragione di gioia.   

Raimundo Gaby è professore di business management presso “The culinary Institute of America”, il più grande istituto culinario al mondo. Si tratta di una prestigiosa accademia con sede a Hyde Park, New York. Laureato alla Columbia University, esperto in vini, Raimundo vanta numerosi riconoscimenti per il suo lavoro. Dopo anni dedicati alla ristorazione in alcuni locali di punta di Manhattan, nella metropoli di New York, ora si concentra sull’insegnamento, ma non solo. Infatti da tre anni ha cominciato a coltivare la sua passione per l’estetica, diventando un artista produttivo con uno stile molto particolare e personale, sebbene non abbia mai affrontato prima studi nell’ambito.

Raimundo Gaby
Raimundo Gaby

Nato in Brasile, trascorre la sua infanzia in una piccola città nell’area dell’Amazzonia. “Non avevamo nemmeno un liceo, dovevo attraversare il fiume in canoa per andare a scuola”, racconta. Si trasferisce nella capitale per frequentare il liceo e l’università, poi l’opportunità di passare un semestre negli Stati Uniti, dove incontra la sua ex moglie. Scoprono che avrebbero avuto una bambina insieme, così Raimundo decide di lasciare il Brasile, nonostante fosse molto attaccato alla famiglia e non parlasse la lingua inglese. La sua vita cambia: invece di continuare a studiare agricoltura e seguire il sogno di generare un impatto ecologico positivo sulle foreste dell’Amazzonia, molto danneggiate dall’abbattimento degli alberi per ottenere terreni coltivabili, inizia a cercare numerosi impieghi per mantenere la figlia.  “Mia mamma aveva un ristorante in Brasile, quindi sapevo cucinare. Ottenni tre lavori, fu un periodo impegnativo, ma anche in quel caso l’arte mi fu d’aiuto, la musica in particolare. Suonavo per una band locale, questo mi aiutava ad essere centrato su me stesso. Poi iniziai a studiare negli USA…”

Nel tempo inizia a trovare spazio per coltivare altre passioni come la fotografia, con cui sperimenta molto. Amante della macrofotografia, si concentra inizialmente sulle foto ai fiori, mescolando composti e varie sostanze chimiche, acqua, oli, inchiostro. Non ha ancora mai dipinto quando inizia la pandemia di Covid-19. In un periodo molto breve Raimundo perde sette membri della sua famiglia, tra cui il padre e il fratello. “La scuola dove insegnavo chiuse, quindi rimasi a casa, come tutti, e non riuscivo a dormire. Sapevo che potevo dipingere, così iniziai a farlo. Negli ultimi tre anni ho prodotto molto, l’arte è stata un modo per far uscire la mia creatività e per rimanere sano, questo è quello che continuo a credere”.

The Peacock Who Wished To Fly
The Peacock Who Wished To Fly (Il pavone che sognava di volare)

Raimundo descrive in modo appassionato la sua arte, spiegando come all’inizio fosse del tutto intuitiva. Si basava solo su un connettersi con un’energia più grande, inspiegabile, ma era ciò di cui aveva bisogno. Spiega di sentire che la sua ispirazione deriva da qualcosa che trascende le cose. Progressivamente ha iniziato a portare un quaderno con sé, così quando aveva idee poteva disegnarle e tenerle a mente. Le sue opere consistono in disegni astratti mescolati un po’ al realismo, prodotti 3d, con l’uso della resina, vetro, pietre… Non sono veramente stato in grado di abbracciare la mia arte prima dei quarant’anni circa, per questo sento di aver dipinto veramente tanto, correndo contro il tempo, rifacendomi di tutte le opportunità che non ho avuto”.

Tra le sue opere non c’è qualcuna che ha più a cuore di altre, l’unica differenza risiede nella fatica e nel tempo che investe a produrle, sempre differente. Raimundo Gabi parla anche di umiltà, affermando che per lui è fondamentale. Dipinge per toccare la vita delle persone e per lasciare un’eredità ai suoi pronipoti, opere d’arte concrete che possano rimanere. “Se posso dare un consiglio a tutti gli artisti di ogni campo, è quello di minimizzare le aspettative sui ricavati o sulla percezione delle persone riguardo la vostra arte. Metteteci tutto il vostro amore, non ponete ambizioni nemmeno sul successo, sebbene la società lo imponga come modello. Il successo è già nel percorso. Ci sono voluti 52 anni per avere la possibilità di produrre la mia arte, anche economicamente. Ora le persone che hanno creduto in me e che mi hanno reputato un artista da sempre sono felici, e lo sono anche io”.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it



Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons