«Non lasciateci soli nell’emergenza»

Il Comune di Milano, di fonte alla scadenza della convenzione governativa per l'accoglienza dei profughi, interpella il ministro dell'Interno. Mentre i richiedenti asilo lamentano condizioni di vita precarie
Immigrati in cerca di soggiorno

A Milano sono giunti dall’inizio dell’anno 332 profughi richiedenti asilo. Un numero cospicuo di persone accolte nelle varie strutture messe a disposizione tramite la convenzione attuata dalla prefettura. Mentre un tempo era possibile richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, ora la legge è cambiata per effetto della crisi in nord Africa: l’unica via per rimanere nel nostro Paese, quindi, è la richiesta di asilo. E i problemi si sovrappongono: non sono sufficienti le strutture per accogliere i profughi, e il 31 dicembre scade il decreto che il governo aveva fatto il 12 febbraio 2011 per creare il capitolo di spesa che consente di finanziare l’accoglienza. Dall’anno nuovo si deve muovere il Comune.

 

In questi giorni sarà a Milano il ministro dell’Interno, e l’assessore alle Politiche sociali Majorino gli ha fatto avere una nota in cui pone la questione profughi: « Fino ad ora la gestione dei richiedenti asilo a Milano è andata bene, c’è stata una triangolazione tra prefettura, comune e terzo settore. Vorremmo che questa collaborazione andasse avanti in modo chiaro anche in futuro. Il governo ci dica con chiarezza quando e come proseguire con le attività di accoglienza. Queste persone non possono essere dimenticate tra pochi mesi, il rischio è relegarle nella zona grigia dell’illegalità». Naturalmente si fa appello al governo perché provveda al più presto a definire chiaramente la politica sui profughi che chiedono lo status di rifugiati politici, affinché i comuni non siano lasciati soli a gestire quella che si annuncia una vera patata bollente.

 

Intanto un gruppo di profughi ospitati al Residence Pieve Emanuele di Milano – per la maggior parte nigeriani, somali ed eritrei – hanno dato vita a una protesta pacifica, lamentando le condizioni in cui sono tenuti e dichiarando che vorrebbero lasciare l’Italia per ricostruirsi la vita in un altro Paese. Ad animare la protesta pacifica degli immigrati è soprattutto la volontà di lavorare e di avere qualche piccola somma per poter chiamare i propri parenti rimasti in patria. «Provate voi a stare cinque mesi senza fare assolutamente niente – spiegano -. Provate voi a non sentire vostra moglie e i vostri bambini». Protestano, in particolare, perché non sono ancora giunti loro i 2 euro e mezzo al giorno che costituiscono il cosiddetto pocket money cui avrebbero diritto. A questo proposito, si sta studiando un sistema di postepay con le Poste Italiane. Altro problema sentito è quello di non avere i soldi per potersi muovere: «Ogni volta che saliamo sull’autobus prendiamo una multa».

 

I profughi, secondo un piano predisposto dalla prefettura di Milano, sono arrivati dalla Libia nel maggio scorso. Il sindaco aveva minacciato di dimettersi se entro la fine di giugno parte di loro non fosse stata distribuita in altri centri della Lombardia.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons