Non lasciarti paralizzare dal freddo
Una lettrice scrive al blog "In...visibile".
«Caro Tanino,
ieri mi è successa una cosa un po’ particolare. Ero alla fermata dell’autobus, alla stazione di Firenze. Quindi, una fermata con un bel po’ di persone abili e reali. Vive.
Scende da un bus un signore disabile, forse di origine slava, messo davvero male. Occhi che seguivano direzioni diverse l’uno dall’altro, denti storti, gambe rivolte verso l’interno così che le ginocchia dovevano sopportare tutto il carico, compresa la parte interna del piede e la caviglia. Era praticamente piegato in avanti… Insomma, un uomo sfortunato. Si aiutava con un bastone arrangiato, con un pezzo di gomma nella parte inferiore per non scivolare. Aveva anche dei pezzi di fogli gommati legati ai piedi fino alle caviglie, per non graffiarsi e non essere del tutto a contatto col terreno. Mamma mia, ridotto davvero malaccio.
(…)
Arrivando al dunque, giunge il suo autobus e vedo che lui si alza (gli avevo chiesto se aveva bisogno di spostarsi o sistemarsi e mi aveva risposto di no, si stava riposando) dirigendosi anche con un certo sforzo (sebbene sembri che sia forte e riesca a fare movimenti con un certo scatto) verso la porta centrale del mezzo. Aveva movimenti cadenzati e irregolari, dovuti sicuramente allo sforzo fatto per non perdere equilibrio e alla spinta che doveva impartire al corpo per far sì che le due gambe si trascinassero in avanti.
Nessuno si è sognato di muovere un dito per aiutarlo. E salire su un bus per lui non è cosa facile, non riesce ad alzare bene le gambe, non ha la padronanza che abbiamo noi persone senza handicap fisici.
Il bus ha richiuso la porta e stava per ripartire, l’omino era lì davanti e non ha fatto in tempo neanche a sperare di salire. Al che, ho sbattuto il pugno sul vetro della porta e il conducente „allora” ha aperto. Sono ciecati o fanno finta di non vedere?
Vedendo che l’omino si allungava verso la porta, sono salita prima di lui, e l’ho tirato sù perché da solo non ce l’avrebbe mai fatta. L’ho tenuto stretto finché non fui sicura che fosse in piedi e stabile e poi sono scesa. Mi ha ringraziata. Una cosa che mi ha fatto provare una bella sensazione dentro.
Ma non è questo il punto. Il punto invece è che scesa dall’autobus, quello è ripartito e la gente intorno mi ha guardata come se avessi fatto un gesto difficile e ammirevole, un gesto degno dell’etichetta di eroico.
In special modo una giovane, che era più vicina di me al bus dove il signore doveva salire (e quindi che sarebbe stata più veloce di me a salirci e a dargli una mano), mi ha guardata quasi con compassione, come se dicesse "che brava che sei stata!".
Io non voglio sentirmi brava, non voglio che queste cose vengano etichettate così! Per me non conta niente se sei un poveraccio un riccone, se sei sporco da fare schifo come lo era purtroppo quel povero omino o se profumi di chanel 5. Se hai bisogno di aiuto, io non rifletto. Faccio. E per me è sempre stato così, è una cosa normale. Invece, a quanto pare non lo è! Non è normale aiutare. Questo mi fa imbestialire più di tutte le altre ipocrisie che fanno parte della nostra cara bella Firenze. E’ un grande schifo. Individualismo e perbenisimo da vendere in ogni angolo della città, anche tra le persone che ti sembra di conoscere ma che in realtà non sono quello che credevi.
Eroico.. ma cosa? Dove? E’ orribile che le azioni che dovremmo fare perché sono umane e solidali siano talmente in disuso e talmente allontanate dalla quotidianità che poi vengano strumentalizzate dagli altri per farti sentire quello che loro vogliono che tu sia: un "eroe". Perché non è il fatto che tu venga definito tale che fa scoop e fa notizia, ma è il fatto che „quella” persona ti ha etichettata in quel modo. Che quella persona ti ha dato un ruolo che non ti appartiene, solo perché essere eroe fa notizia ed è bello per la società mostrare sui giornali e sulle tv che c’è qualcuno che fa queste cose così magnanime e umane.
Che grande schifo, è proprio tutto un grande schifo!
Non provavo tanta delusione da un sacco di tempo…»
Iasmin Abou Shareb
Scende da un bus un signore disabile, forse di origine slava, messo davvero male. Occhi che seguivano direzioni diverse l’uno dall’altro, denti storti, gambe rivolte verso l’interno così che le ginocchia dovevano sopportare tutto il carico, compresa la parte interna del piede e la caviglia. Era praticamente piegato in avanti… Insomma, un uomo sfortunato. Si aiutava con un bastone arrangiato, con un pezzo di gomma nella parte inferiore per non scivolare. Aveva anche dei pezzi di fogli gommati legati ai piedi fino alle caviglie, per non graffiarsi e non essere del tutto a contatto col terreno. Mamma mia, ridotto davvero malaccio.
(…)
Arrivando al dunque, giunge il suo autobus e vedo che lui si alza (gli avevo chiesto se aveva bisogno di spostarsi o sistemarsi e mi aveva risposto di no, si stava riposando) dirigendosi anche con un certo sforzo (sebbene sembri che sia forte e riesca a fare movimenti con un certo scatto) verso la porta centrale del mezzo. Aveva movimenti cadenzati e irregolari, dovuti sicuramente allo sforzo fatto per non perdere equilibrio e alla spinta che doveva impartire al corpo per far sì che le due gambe si trascinassero in avanti.
Nessuno si è sognato di muovere un dito per aiutarlo. E salire su un bus per lui non è cosa facile, non riesce ad alzare bene le gambe, non ha la padronanza che abbiamo noi persone senza handicap fisici.
Il bus ha richiuso la porta e stava per ripartire, l’omino era lì davanti e non ha fatto in tempo neanche a sperare di salire. Al che, ho sbattuto il pugno sul vetro della porta e il conducente „allora” ha aperto. Sono ciecati o fanno finta di non vedere?
Vedendo che l’omino si allungava verso la porta, sono salita prima di lui, e l’ho tirato sù perché da solo non ce l’avrebbe mai fatta. L’ho tenuto stretto finché non fui sicura che fosse in piedi e stabile e poi sono scesa. Mi ha ringraziata. Una cosa che mi ha fatto provare una bella sensazione dentro.
Ma non è questo il punto. Il punto invece è che scesa dall’autobus, quello è ripartito e la gente intorno mi ha guardata come se avessi fatto un gesto difficile e ammirevole, un gesto degno dell’etichetta di eroico.
In special modo una giovane, che era più vicina di me al bus dove il signore doveva salire (e quindi che sarebbe stata più veloce di me a salirci e a dargli una mano), mi ha guardata quasi con compassione, come se dicesse "che brava che sei stata!".
Io non voglio sentirmi brava, non voglio che queste cose vengano etichettate così! Per me non conta niente se sei un poveraccio un riccone, se sei sporco da fare schifo come lo era purtroppo quel povero omino o se profumi di chanel 5. Se hai bisogno di aiuto, io non rifletto. Faccio. E per me è sempre stato così, è una cosa normale. Invece, a quanto pare non lo è! Non è normale aiutare. Questo mi fa imbestialire più di tutte le altre ipocrisie che fanno parte della nostra cara bella Firenze. E’ un grande schifo. Individualismo e perbenisimo da vendere in ogni angolo della città, anche tra le persone che ti sembra di conoscere ma che in realtà non sono quello che credevi.
Eroico.. ma cosa? Dove? E’ orribile che le azioni che dovremmo fare perché sono umane e solidali siano talmente in disuso e talmente allontanate dalla quotidianità che poi vengano strumentalizzate dagli altri per farti sentire quello che loro vogliono che tu sia: un "eroe". Perché non è il fatto che tu venga definito tale che fa scoop e fa notizia, ma è il fatto che „quella” persona ti ha etichettata in quel modo. Che quella persona ti ha dato un ruolo che non ti appartiene, solo perché essere eroe fa notizia ed è bello per la società mostrare sui giornali e sulle tv che c’è qualcuno che fa queste cose così magnanime e umane.
Che grande schifo, è proprio tutto un grande schifo!
Non provavo tanta delusione da un sacco di tempo…»
Iasmin Abou Shareb
Cara Iasmin,
ti conosco. Sei una ragazza meravigliosa. Sei bella, intelligente, canti con una voce rarissima, parli varie lingue… ma con quello che mi racconti riveli un altro talento, il più importante: hai cuore.
La gente paralizzata dal perbenismo vuoto ti delude e questo per te è insopportabile. Vorrei dirti: non mollare! Fai quello che senti di fare, come senti di farlo… prima o poi non sarai sola.
Grazie a nome di molti che ti hanno vista e che avranno il coraggio di ripetere il tuo gesto,
Tanino
Tanino
foto di Attila Adam