Non è un paese per vecchi
Oscar senza sorprese per l’edizione dell’ottantesimo compleanno, che ha tagliato il filo di lana con la preoccupazione di non farcela e di restare bloccato dallo sciopero degli sceneggiatori. Pericolo evitato per poco e scampato quasi all’ultimo momento. Ma se l’attesa è stata incerta, il risultato è andato secondo pronostico, con i fratelli Coen che hanno fatto poker. Quattro statuette e l’en plein sul piano personale, vincendo tutto quel- 69 Città nuova n.6 2008 lo che c’era da vincere per quel che riguardava il loro intervento diretto: miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior film (il che premia anche la produzione nel suo complesso). Il quarto riconoscimento delle otto nomination a Non è un paese per vecchi è andato infine a Javier Bardem, miglior attore non protagonista. Insomma, questa edizione degli Oscar sarà ricordata come quello dei fratelli Joel ed Ethan Coen, che già nel 1996 si erano aggiudicati l’ambito alloro dell’Academy Award con Fargo, film che nella sua tipologia di corrosivo apologo sull’avidità umana presenta più di un’assonanza con quello attuale. Tutto scontato, dunque? Le previsioni della vigilia lasciavano poco spazio all’azzardo e potevano giocare su un terreno abbastanza sicuro. Soprattutto per quel fattore di probabilità che il vecchio Hitchcock chiamava il double-prompting, ovvero il doppio sistema di suggerimento. Il primo, consiste nel fatto che l’Oscar è un premio corporativo, autoreferenziale, assegnato da gente che lavora nel cinema, in un sistema dove il conflitto d’interesse regna sovrano, e il voto di scambio è la pratica corrente, dove una mano lava l’altra. Il voto da parte dei 5.829 soci dell’Accademia delle arti e delle scienze cinematografiche diventa perciò un favore da ricambiare, un debito da pagare per ringraziare il committente per un lavoro fatto o un’ipoteca da accendere per assicurarsi la partecipazione al prossimo film in cantiere. Questo il primo prompting (sistema, ndr), accompagnato dal fatto che pesce grosso mangia pesce piccolo: e questo spiega perché Non è un paese per vecchi, sostenuto da Paramount e Miramax, l’abbia spuntata su Il petroliere di Paul Thomas Anderson, prodotto dalla Walt Disney, che, per quanto potente, sul mercato cinematografico non ha la forza d’urto che ancora detengono le altre major che compongono le sette sorelle hollywoodiane. Il secondo p rompti n g , poi, rientra in quell’inconscio collettivo (e di psicoanalisi Hithcock se ne intendeva) che sulla scheda fa muovere la mano in un senso piuttosto che nell’altro. Ebbene, l’inconscio collettivo deve aver giocato un ruolo determinante in questa edizione indirizzando il voto dei giurati più su Non è un paese per vecchi che su Il petroliere. Film, quest’ultimo, che, alla pari delle otto nomination con l’opera dei Coen, alla fine si è dovuto accontentare del premio per il miglior attore a Daniel Day Lewis. Così bravo che negargli la statuetta sarebbe stato uno scandalo. Dopo l’11 settembre l’America intera si interroga sul suo ruolo nel mondo, sul suo destino, sulla sua identità, e Non è un paese per vecchi ha risposto direttamente a queste domande, più di quanto non lo abbia fatto il film di Paul Thomas Anderson, che lo stesso tema (la rapacità, la sete di potenza e di denaro) affronta invece in modo indiretto attraverso una metafora del capitalismo denunciato come peccato originale della società americana. Nel romanzo di Corman McCarthy da cui il film è tratto, i fratelli Coen hanno visto riflesso il volto dell’America d’oggi, di un Paese che cambia lasciando dietro di sé una scia di sangue e di morte, con i vecchi miti, primo fra tutti quello dell’Ovest e dei pionieri, travolti da una nuova realtà fatta di guerre senza sbocco e perdita di valori tradizionali malinconicamente rimpianti. Tutto il resto è cronaca mondana, luci, lustrini e paillette. In mezzo ai quali l’Italia ha goduto la sua parte di gloria con l’Oscar destinato alle migliori scenografie a Dante Ferretti e a Francesca Lo Schiavo per Sweeney Todd di Tim Burton (che fa il bis con quello per The Aviator di Martin Scorsese) e quello attribuito alla miglior colonna sonora originale, che ha visto trionfare Dario Marianelli, autore delle musiche di Espiazione, diretto da Joe Wright. Il che dimostra che non sono gli uomini a far difetto nel cinema italiano, ma i film. NON È UN PAESE PER VECCHI Alla notte degli Oscar è stato un trionfo meritato quello dei fratelli Coen, che con Non è un paese per vecchi firmano une delle loro opere migliori. Tratto dal romanzo di Corman McCarthy, il film riprende i temi cari all’inseparabile duo: la banalità del male, l’orrore della provincia americana, l’ipocrisia delle relazioni umane, trattati questa volta con uno stile più rigoroso del solito e una maturità narrativa giunta ormai a livelli che rasentano la perfezione. Il ritmo della storia ha l’incedere lento e spietato del killer psicopatico, interpretato magistralmente da Javier Bardem; e sorprende l’abilità con cui il punto di vista sulle vicende raccontate viene continuamente modificato, cambiando di volta in volta prospettiva e visuale sulla storia. Una narrazione policentrica e frammentata, che toglie punti di riferimento e inibisce ogni processo di identificazione, alimentando nello spettatore la sensazione di spaesamento generalizzato. Un film brutale e spregiudicato, ma mai compiaciuto, dove la violenza è un mezzo per illustrare e mai un fine da perseguire. Il cast funziona benissimo, così come la fotografia, ma è la sceneggiatura, insieme alla regia, il vero motore del film, in grado nella sua inquietante essenzialità di determinare il senso (o il non senso) di questa parabola tragica e disperante, dove male e bene sono facce distorte di una stessa feroce medaglia. Cristiano Casagni Regia di Joel ed Ethan Coen; con Josh Brolin, Javier Bardem, Tommy Lee Jones, Woody Harrelson, Kelly MacDonald, Stephen Root.