Non è più tempo di furbizie
La decisione dell'Unione Europea di concedere alla Grecia un prestito di 30 miliardi di euro rasserena le borse. Ma è necessario che Atene abbandoni i comportamenti scorretti del passato.
Il primo gennaio 2001 la Grecia aderiva alla Unione economica e monetaria nata tre anni prima dagli undici Paesi più convinti della validità della Europa unita. Da allora i risparmi, i titoli e le azioni espressi in dracme passavano con un tasso fisso ad euro e i greci, come prima gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi e gli irlandesi, diventavano più ricchi grazie alla solidarietà dei Paesi europei più efficienti, per i quali invece diventava meno costoso far giungere i loro prodotti e servizi su quei promettenti mercati.
L’unione monetaria, che grazie al minor costo del denaro nei Paesi più deboli vi favorisce gli investimenti, è basata sul trattato di Maastricht con cui tutti i Paesi aderenti si impegnano ad una gestione rigorosa del bilancio statale, da cui dipende il valore della moneta comune, facendo in modo che la differenza tra le uscite e le entrate annuali non superi il tre per cento.
Per i Paesi del Sud Europa, questo significava un drastico cambiamento: con la moneta e una banca centrale unica, essi non avrebbero più potuto stampare più moneta per coprire deficit più alti, compensando poi il fatto con periodiche svalutazioni: per far quadrare il bilancio. D’allora in poi, essi avrebbero dovuto aumentare le entrate o ridurre le uscite, o entrambi. Essendo ovunque le imposte già molto alte, per aumentare le entrate avrebbero dovuto avviare una decisa lotta all’evasione fiscale, al lavoro nero ed alla corruzione pubblica. Per ridurre le uscite, avrebbero dovuto inoltre adeguare l’età della pensione alle aumentate aspettative di vita, diminuire i posti di lavoro clientelari e tassare la speculazione finanziaria.
Tutte azioni chiaramente impopolari, anche se utili per migliorare la convivenza civile e mettere al sicuro i cittadini da manovre finanziarie capaci di far evaporare d’improvviso i sacrifici di anni. Azioni impopolari che, a quanto pare, la Grecia aveva sperato di evitare truccando i conti ma che adesso, malgrado le proteste popolari, deve prendere tutte assieme, a meno che non voglia essere espulsa da un contesto di nazioni i cui cittadini non sono propensi a essere solidali con membri che non intendono rispettare i patti sottoscritti. Essi scontano già ora, con l’aumento del prezzo dei carburanti dovuto all’indebolimento dell’euro, il risultato di questi comportamenti scorretti. Un esempio di quanto capiterebbe alla Grecia se uscisse dall’euro lo offre la Gran Bretagna, una nazione economicamente forte che non aveva voluto aderire all’euro: a causa della crisi finanziaria i risparmi di tutti gli inglesi hanno perso oltre il 30 per cento del loro valore.
Ora i paesi dell’Unione offrono alla Grecia, anche se a caro prezzo, in attesa di un rapido assestamento dei suoi bilanci, lo scudo di un prestito di 30 miliardi di euro con cui onorare le prossime scadenze dei suoi debiti: questa decisione ha rasserenato i mercati mondiali facendo risalire le borse. Per il bene della Grecia e per i destini dell’Europa, speriamo che il governo greco, accantonando ogni ulteriore furbizia, sia in grado di farlo.