Non è giusto chi non ama
Come il valore dell’uomo viene vivificato dall'amore a Dio e agli altri: è la riflessione mirabile di Igino Giordani per il terzo appuntamento con il libro edito da Città nuova Il fratello
«L’amore porta l’uomo all’altro uomo: e questo gli è fratello». Inizia con questo incipit il capitolo de Il Fratello di Igino Giordani per Città nuova, dedicato ad ogni prossimo, ad ogni fratello. Una visione che da Dio torna a Dio attraverso l’amore all’uomo.
Di seguito il brano.
«Il fratello gli è dato perché possa amarlo. Il Padre, che ha generato un Figlio per amarlo, ha creato il fratello, copia minore di quel figlio, perché noi possiamo amarlo. Il fratello è immagine di Dio: sua progenie, frutto del suo sangue: sì che in lui si ama Dio per effigie e per rappresentanza. Né basta: il fratello è tale perché figlio d’uno stesso Padre, Dio; ridivenuto figlio di Dio per l’incarnazione, passione e morte di Cristo.
«Si può dire che il fratello ci è stato dato perché ci ricordi, per similitudine, Dio; perché ci porti, con l’attrazione dell’amore, a Dio; perché ci richiami, coi vincoli del sangue, a Cristo, figlio di Dio. Il quale, perché infinito, non si può vedere con pupille limitate: lo si vede, come in specchio, nel fratello.(…)
«Di modo che le relazioni tra uomini sono un gioco d’amore: uno dà e l’altro riceve, in apparenza: in realtà entrambi ricevono e danno; ché, coloro i quali vengono serviti da noi, danno a noi il privilegio di farci servire in loro Dio e di procurarci meriti, che ci aprono l’accesso a Dio.(…)
«Si stabilisce così una sorta di parità tra Dio e il fratello. Ma il precetto che intima: “ama il prossimo tuo come te stesso”, stabilisce anche una sorta di parità tra te e il fratello. Ogni creatura dall’amore è elevata al tuo livello, che, in certo modo, è il più alto consentito sotto il cielo. L’amore quindi agisce come spinta all’eguaglianza, che è la condizione della fratellanza, in cui non ci sono figli e figliastri. Ci potranno essere creature più o meno intelligenti, più o meno belle o sane o buone, ma tutte figlie dello stesso Padre, e quindi tutte eguali verso di lui. E allora, come il Padre tratta te, tu devi trattare tuo fratello.
«È una legge. E la legge è cosa della giustizia, e la giustizia è fondamento della società. Una società è cristiana – si fonda sulla giustizia del Vangelo – se ogni componente ama gli altri come se stesso. Dice san Giovanni, l’evangelista di Dio-Amore: «Non è giusto chi non ama il fratello» (1 Gv 3, 10). E dunque è giusto chi ama. E dunque la giustizia s’identifica con la carità; o, se si vuole, la carità diviene la più alta giustizia.
«E allora ci è offerto un criterio molto semplice per giudicare se noi siamo a posto con Dio. Noi siamo a posto con Dio se siamo a posto con l’uomo. Amiamo l’Uno in cielo se amiamo l’altro in terra. Tutto molto semplice: molto terra terra, perché molto cielo cielo.
«Se non amiamo il fratello, noi redenti, ripassiamo dalla vita alla morte. Quindi le applicazioni: “Non fare agli altri quel che
non vorresti fatto a te”. Negativamente. “Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu”. Positivamente. Io non vorrei essere calunniato, affamato, tenuto senza casa, senza lavoro, senza gioie…: e così, per quanto è in mio potere, io devo adoperarmi a che anche gli altri siano onorati, sfamati, alloggiati, impiegati e riempiti di consolazioni. (…)
«Per tal modo, l’esistenza umana, poiché promana dall’esistenza divina che è amore, e ha per fine di tributare amore, è un episodio dell’amore: prova ciclica a cui Dio sottopone l’uomo per educarlo alla convivenza con Dio e sperimentarne la disposizione: da come l’uomo si comporta col fratello, è giudicato il suo comportamento col Padre. Il fratello fa le veci di Dio: trattando con l’uno si saggia la capacità e volontà di trattare con l’Altro. (…)
«Fratello è ogni uomo: e prossimo è il fratello, che viene a portata della mia carità, ogni momento. Anche qui vale la cattolicità della fratellanza, nel senso che ogni uomo, per il fatto d’essere uomo, è mio fratello, fornito di tutti quei diritti divini per i quali, trattando con lui, io tratto, in certo modo, con Dio. Ogni uomo, d’ogni colore, lingua, razza e classe: bello o brutto, sano o malato, buono o cattivo, ha diritto al mio amore.
«Perché ama, il mendicante Giovanni di Dio propone al potente re Filippo di Spagna di chiamarlo fratello. Non si elimina la stima o l’obbedienza: si vivifica. Così trattando da fratelli i sottoposti non si distrugge l’autorità, ma si rende umana e si rinsalda d’un sopporto divino».