Non dimenticherò mai Yaya

Un giovane sconosciuto racconta la sua vita per sfuggire alla morte, una sofferenza foriera di umanità.
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Alla fine di un appuntamento di lavoro, stavo aspettando l’autobus in un piccolo villaggio della campagna di Friburgo. Chiedo all’unica persona che stava aspettando l’autobus se fossi alla fermata giusta e nella giusta direzione. Era un giovane sconosciuto, ancora minorenne e timido. Nell’autobus, ci troviamo faccia a faccia. Mi interesso un po’ di lui, riconoscendo l’accento di un paese in cui ho vissuto a lungo. Così mi racconta la sua storia, scusandosi di farlo, perché i suoi supervisori sociali lo incoraggiano a raccontarla, come terapia, quante più volte possibile.

Terzo figlio della madre, senza conoscere il padre, è affidato al marito della sorella della madre perché lei stessa non riesce ad arrivare alla fine del mese. Si trova bene dagli zii. Ama lo zio che lo fa studiare e lui, in cambio, lo aiuta nel lavoro alla moschea: pulizia, ordine. A poco a poco, lo zio lo costringe a diventare musulmano. Sta entrando nel suo dodicesimo anno, ma il bambino ormai cresciuto si rende più conto che alcune pratiche non sono d’accordo con i valori che sua madre gli aveva insegnato: rispetto verso tutti, indipendentemente dall’origine o dalla religione; libertà di scegliere; aiuto e vicinanza alle donne, agli anziani… Un giorno lo zio gli impone una scelta: o diventa musulmano, oppure denuncia pubblicamente lui e sua madre come infedeli. Yaya, così si chiama, viene salvato da sua zia e può fuggire per raggiungere sua madre. Quest’ultima, percependo il pericolo per tutta la sua famiglia, si trasferisce e raccoglie denaro per pagare un contrabbandiere che le promette di trovare una buona famiglia per suo figlio nel paese vicino.

Yaya è quindi affidato ancora… ma questa volta entra in un’avventura che gli toglie ogni contatto con la famiglia e lo conduce da un contrabbandiere all’altro, da paese sconosciuto a paese sconosciuto, da sud a nord! Spesso è il più giovane in mezzo a dozzine di uomini e donne e affronta la fame, l’abbandono, la prigionia senza motivo, percosse e minacce infondate. Cerca di fuggire due volte; una volta con un altro giovane, nella foresta, vengono inseguiti dai contrabbandieri e crivellati di proiettili, il suo compagno muore tra le sue braccia. Quando si trova su un gommone in mare, ha molta paura. Nessuno a bordo sapeva come guidare la barca perché erano stati ingannati, mentiti e spogliati di tutti i loro effetti personali e documenti di identità. Niente telefono, niente bussola! Yaya mi diceva che sentiva ancora il grido disperato di un uomo che era bordo e che aveva perso sua moglie. «Mia moglie, mia cara moglie. Il mio bene più grande». Stavano facendo naufragio quando un uomo più grande di lui gli mette sulla schiena la sua cintura di salvataggio dicendogli: «Tu sei più giovane, puoi vivere a lungo».

Dopo molte peripezie ed essendo stato salvato due volte da compagni di sventura, prega Dio di fare della sua vita un grande cosa: una persona buona e grata. Arriva in Svizzera ancora minorenne ma, sentendo la sua storia, mi sembrava di trovarmi di fronte a un uomo maturo e saggio che aveva vissuto diverse vite. Durante il suo racconto, ho pianto in silenzio: sentivo allo stesso tempo di essere sua madre, la sua sorellina e colei che è impotente e prova vergogna per tale disumano trattamento.

L’autobus ci ha lasciato a destinazione. Era difficile separarsi, ma allo stesso tempo era una liberazione per me perché l’ora era stata carica di emozioni intense e ricordi terribili. Ci siamo ringraziati a vicenda e ci siamo dati la benedizione più grande: «Che Dio ti benedica e ti custodisca!».

Quella notte ho dormito poco. Non avevo incubi, ma un’intensa gratitudine per aver potuto ricevere un dono così grande: accogliere nel cuore una storia vera, grandiosa, intrisa di sofferenza e di vita che mi ha arricchito di umanità.

Non dimenticherò mai Yaya.

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