Non ci vuole nessuno
Imbattersi, ad Ancona, in una famigliola rumena che non sa dove andare.
Gente per le vie, senza fretta, a godere dell’atmosfera ancora estiva. All’improvviso, in piazza Don Minzoni, un’immagine che mi ha fatto fare un balzo in avanti nel tempo: non era più settembre, era Natale, e c’erano “Giuseppe e Maria” che, nella disperata ricerca di un alloggio, passavano da un rifiuto all’altro.
Ma non c’era l’attesa di un solo bambino, i bambini erano già lì ed erano tre: Denis, Elena e Francesca, che seguivano con passi stanchissimi papà Romeo e mamma Mihaela. Su una carrozzina, in tre sacchetti di plastica e nel trolley trascinato da Denis, tutti i loro averi. Una famigliola di Galati, Romania, sul Mar Nero.
Mi hanno chiesto della mensa di padre Guido, il soccorso estremo ad Ancona di tanti disperati, e mentre li accompagnavo, la storia si è dipanata. Due anni fa (ma chi lo ricorda più?) la loro regione ha subìto una tremenda alluvione. Allora Romeo e Mihaela, che avevano studiato canto, sono venuti nella terra di Pavarotti, dove pensavano di trovare accoglienza.
Per due anni Romeo ha avuto un lavoro, non come cantante lirico – ma non aveva importanza, era lavoro –, e una casa dove Mihaela si prendeva cura dei bambini. Ne avevano abbastanza anche per mandare qualcosa a Galati, dove il vecchio padre di Romeo poteva così acquistare materiali edilizi per ricostruire la casa alluvionata. Poi la crisi, il licenziamento, lo sfratto: sulla strada, alla lettera, così come io li ho visti.
Vogliono tornare in Romania, qui non si sentono più accolti e tutto costa così caro. Se riescono ad arrivare a Roma, qualcuno darà loro un passaggio gratis. Hanno contattato i servizi sociali del comune, ma qualcosa non ha funzionato: ora sono qui senza denaro, affamati, senza un posto per dormire; hanno bussato alle parrocchie del centro, li hanno indirizzati alla mensa del povero di padre Guido, dove li sto accompagnando.
L’accoglienza di suor Pia è affettuosa; li ha già sfamati a pranzo, scherza con i bambini, fa preparare panini per tutti; ma i pochi posti letto sono già occupati. Non resta che ricorrere ancora ai servizi sociali del comune. Suor Pia chiama lo sportello emergenza e illustra la situazione. Il servizio funziona, anche se si son fatte ormai le 21. Aspettiamo insieme nell’ufficio della suora.
Romeo e Mihaela mostrano i loro passaporti, ne dettiamo gli estremi all’operatrice al di là del filo. Francesca, la piccola di tre anni, si è addormentata sulla carrozzina sgombrata di pacchi e pacchetti; Denis ed Elena si prendono cura di lei e guardano preoccupati mamma e papà. Sono tutti esausti, camminano da stamattina.
Mihaela non parla, non ne ha le forze. Romeo, ogni tanto, si lascia sfuggire «Non siamo zingari… non ci vuole nessuno…», ma a mezza voce, quasi scusandosi. La loro angoscia ha un motivo: temono che, nella loro condizione di totale precarietà, i servizi portino loro via i bambini; per questo vogliono partire prima possibile. Romeo potrà sempre tornare in Italia, in cerca di lavoro, chissà…
Squilla il telefono, è la signorina del servizio sociale: c’è una camera pagata per loro all’albergo Italia e domani si farà in modo che prendano il treno per Roma.
Suor Pia fornisce i biglietti per l’autobus; li accompagno in piazza Kennedy, alla fermata del bus. Dopo un po’ telefono all’albergo Italia, chiedendo di loro. Mi risponde, più tranquilla, Mihaela; Romeo sta facendo la doccia ai bambini. Abbasso il telefono, sperando che domani per loro sia davvero “un altro giorno”.