Non c’è pace per i migranti
La notizia è di quelle che fanno clamore: l'Italia, nonostante una sentenza della Corte europea dei diritti umani dello scorso febbraio abbia condannato la pratica dei respingimenti in mare dei migranti, secondo il rapporto Sos Europe di Amnesty International avrebbe firmato il 3 aprile un nuovo accordo con le autorità libiche per continuare su questa strada. Come dire: errare è umano, perseverare è diabolico, tanto più per un Paese che – a differenza della Libia – ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra.
In realtà la notizia è, se vogliamo, più semplice: la piaga su cui Amnesty mette il dito è infatti che il testo dell'accordo «non è stato reso pubblico», e che il comunicato stampa allora emesso dal ministero dell'Interno «non specifica quali siano state le misure concordate, né se le attuali violazioni dei diritti umani in Libia verranno affrontate». In effetti nel testo del comunicato si legge che il ministro Cancellieri ha «firmato un'intesa nel campo della sicurezza, in particolare in termini di contrasto al traffico di esseri umani legato ai flussi migratori», e nulla di più; pertanto, conclude Amnesty, è lecito supporre che, poiché il portavoce del Comitato nazionale di transizione ha confermato «l'impegno della Libia a rispettare il trattato del 2008», tutto avvenga ancora alla vecchia maniera. Insomma, un gattopardesco «cambiare tutto perché nulla cambi».
Ad essere cambiata, ma in peggio, sarebbe invece la situazione dei migranti in Libia, che le autorità locali stimano in oltre mille nuovi arrivi al giorno. Secondo Amnesty, «la credenza diffusa che Gheddafi arruolasse mercenari africani per schiacciare gli oppositori ha reso le persone provenienti dall'Africa sub-sahariana il bersaglio di attacchi violenti, arresti arbitrari, abusi e torture in carcere». Molti – tra cui anche cittadini libici di carnagione scura – sarebbero stati catturati e picchiati in cella dalle milizie armate, con la generica accusa di «crimini legati all'immigrazione». Episodio emblematico è stato il “raid” del quartiere di al-Madina al-Kadima a Tripoli il 26 agosto 2011, quando le truppe rivoluzionarie hanno saccheggiato la zona e arrestato 26 persone che – riferisce l'associazione umanitaria – una volta uscite di cella mostravano visibili segni di percosse. Oltretutto l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), che fino alla cessazione forzata delle sue attività nel Paese a giugno 2010 si era occupato delle procedure di richiesta di asilo in assenza di una legislazione in questo senso, «non è ancora giunta ad un accordo con le nuove autorità libiche»: pertanto i migranti rimangono senza alcuna forma di protezione, mentre – fa notare il rapporto con ironia pungente – l'intesa con l'Italia in tema di controllo dei flussi migratori è stato siglata con sorprendente rapidità.