Non calpestare le farfalle
Confesso che ho ucciso. Le mani che oggi salvano decine di bambini, donne e uomini, sono le stesse che vent’anni fa davano la morte. Sono le mie mani. Mi chiamo Aki Ra, il nome con cui oggi tutti mi conoscono. In passato ho avuto molti altri nomi, tante identità quante le divise che ho indossato. Ogni nome è un pezzo della mia vita. Mi ha educato un padre di nome Pol Pot, che ha rubato la mia innocenza. A sette anni avevo già il fucile in spalla, a nove iniziavo a combattere. Così inizia il lungo racconto della sua vita l’ex khmer rosso che da vent’anni, rischia ogni giorno di saltare sulle mine che sta disinnescando. Il suo è un nome fittizio. Del resto, nemmeno lui sa quale sia quello vero. Aki Ra è un personaggio dei cartoni animati giapponesi molto noto nel Sud-Est asiatico. Non era ancora nato quando i soldati di Pol Pot occuparono il suo villaggio. Fu un anziano, un nonno, a raccontargli della morte dei genitori, avvenuta quando lui aveva solo pochi mesi. Suo padre era maestro di scuola, un mestiere sospetto per i khmer rossi. Fu mandato in un campo di rieducazione. Doveva lavorare – mi raccontò quel nonno – dalle quattro del mattino alle sei di sera con una sola pausa per mangiare. Un giorno si ammalò e venne curato dai medici con un siero che, in realtà, era solo acqua sporca. Dopo dieci giorni, non solo stava ancora male, ma era ridotto allo stremo per la fame. Datemi qualcosa, qualunque cosa per mangiare!, implorava. Un soldato gli offrì una tazza di riso e pollo, che lui divorò in un istante. Allora, compagno, non stai poi tanto male – osservò il soldato beffardo -; se sei davvero malato, non puoi mangiare. La verità è che non vuoi lavorare. Ci hai mentito. Bastò per decretare la sua fine. Nessuno lo vide più. Da allora ho avuto timore di ammettere di essere malato per timore delle conseguenze. Anche la madre morì in circostanze analoghe. Aveva 18 anni quando, nel 1991, il trattato per il disarmo e l’arrivo dell’Onu pose fine alla guerra guerreggiata in Cambogia. Il fucile non serviva più. Lui non sapeva cosa significasse la parola pace. Ciò che restava del suo Paese era un immenso cimitero disseminato di fosse comuni. E poi c’erano le mine inesplose, milioni di sentinelle nascoste che prima i khmer e poi i vietnamiti avevano disseminato nei luoghi più impensati. Principalmente lungo i sentieri che delimitavano le risaie o nei viottoli delle giungle, appena sotto qualche centimetro di terra, si nascondeva a ogni passo una trappola mortale. Anche se frequento le mine da molto tempo, non smetto di stupirmi di come gli umani si sono ingegnati per ideare questi strumenti assassini. Ce ne sono davvero di tutti i tipi. Ci sono quelle verdi, marroni, bianche, a forma di farfalla o di ananas, che attirano i bambini perché sembrano giocattoli. Non calpestate le farfalle, la raccomandazione che Akir Ra non si stanca di ripetere da allora a tutti i bambini che incontra, è diventata il titolo del libro nato dall’intervista raccolta in Cambogia dal giornalista italiano Anaìs Ginori (Sperling & Kupfer). Gli era rimasto nella memoria – uno dei pochi, rari ricordi d’infanzia – un proverbio popolare secondo cui un coccodrillo non può rinascere monaco. Era giunto il momento di riprendersi in mano la propria vita, ma come? Non aveva mai avuto il tempo per pensare, solo per sopravvivere. Qualcosa, impercettibilmente, col passare degli anni, aveva iniziato ad incrinare la spessa corazza di indifferenza e di cinismo che lo contraddistinguevano. Forse da quella volta che, per contrastare un gruppo di persone che si muovevano furtivamente nella giungla, aveva messo una trappola micidiale, di quelle che non perdonano: una mina. Nel buio sentì un botto, delle grida soffocate. Si avvicinò, più per curiosità che per altro. Il nemico era a terra: una donna che stringeva ancora le mani dei suoi due bambini, anche loro colpiti a morte. Se un coccodrillo non può rinascere monaco, può tuttavia usare la sua enorme forza non per la morte, ma per la vita. Lui, a 18 anni, era analfabeta, ma conosceva alla perfezione il funzionamento di ogni arma. Sapeva che all’Onu cercavano personale come lui, per avviare il lavoro di bonifica dalle mine. Venne subito ingaggiato. Ed iniziò per lui la nuova vita. Ora Aki Ra insegna a non calpestare le farfalle.