Non bussare alla mia porta

Vaste distese aride, cieli azzurri e candide nuvole, strade lunghe e solitarie, scenari fuori del tempo e quasi irreali. È l’america-western alla Wim Wenders, come egli la scoprì a Berlino, ancor giovane, nella musica, nei libri e nei film, eleggendola quale suo luogo ideale. Vi si aggira il protagonista (Sam Shepard), attore in crisi profonda a causa di una vita sregolata e senza affetti. Si rifugia dalla madre, trascurata per anni, che lo indirizza ad una relazione dimenticata e a dei figli, che non sapeva di avere. Li trova in una cittadina del Montana, dall’aspetto surreale, con larghe strade vuote e con palazzi che sembrano scenari di teatro. Lo stile della narrazione, pur fedele ad uno sguardo meditativo che desidera scavare sotto la superficie, si distingue per la sua limpida semplicità ed è suadente, riuscendo a coordinare le suggestioni dei paesaggi con le emozioni dei personaggi. Il racconto, a un certo punto, diventa melodramma e descrive i turbamenti per le scoperte troppo rapide di legami parentali primari. Evita, tuttavia, i toni troppo tristi, passando con maestria a quelli più distesi e trasformandosi in commedia con un finale sereno. Si distingue, in questo, dall’insuperabile Paris, Texas dello stesso autore, che era stato scritto, come l’attuale, da Shepard e trattava un tema simile, ma in maniera più poetica e rarefatta. Fin dall’inizio, si apprezzano le buone interpretazioni del protagonista e degli altri, in particolare quelle femminili. La madre, la compagna d’un tempo e la figlia sono donne solide, quasi idealizzate come nelle altre opere del regista tedesco, capaci di dolcezza e, anche, di concretezza. La figlia, per esempio, è una ragazza placida e pare un angelo, ma è determinata nel far luce sulle proprie radici e sa sopportare con calma lo smarrimento momentaneo per la scoperta del passato. È presente anche un’America ferita dagli aspetti più degradanti della modernità, quella che non piace a Wenders, e viene ricordato il negativo mondo esterno, ripetitivo nel suo male e contrapposto a quello immaginario e ricco di sentimenti dei film. Ciò costituisce lo sfondo alla denuncia fondamentale dell’autore, testimoniata, in modi diversi, dai due figli. Il loro dramma, assai sofferto, è causato dal vuoto di paternità nel mondo d’oggi, che, come ben sappiamo, tende ad approvare leggi che la vogliono nascondere ai figli per sempre. Regia di Wim Wenders; con Sam Shepard, Jessica Lange, Sarah Polley, Tim Roth

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons