Non aggiungere ingiustizia a ingiustizia
Il mondo musulmano ancora una volta è esploso in proteste violente e diffuse nei confronti dell’occidente, ed in particolare degli Usa, a causa di espressioni che sono state ritenute offensive nei confronti di aspetti sacri per l’Islam, e particolarmente del profeta Muhammad. Da un lato l’Occidente trema, dall’altro si cerca, almeno da parte di coloro che si rendono conto della gravità del momento, di prendere le distanze da una produzione cinematografica di livello amatoriale, ma sufficiente per creare reazioni in buona parte del mondo musulmano.
A Los Angeles, per esempio, il vescovo Serapion della Chiesa copto-ortodossa del Sud California e delle Hawaii ha rilasciato una dichiarazione che respinge quanto è apparso nel film e, allo stesso tempo, condanna la violenza con cui si è reagito a questa provocazione. Il vescovo copto-ortodosso ha affermato con forza che la sua Chiesa non ha nulla a che fare con la produzione della pellicola e che l’unico responsabile è l’autore del film stesso. «Non è ammissibile – ha affermato il vescovo – addossare, in modo generico, la responsabilità della produzione del film ai copti. Sarebbe come accusare, in generale, i musulmani per gli attacchi dei fanatici».
Lo stesso Anba Bakhomious, attuale amministratore del patriarcato copto-ortodosso in Egitto, incontrando l’on. Samir Morcos, assistente del presidente Morsi, presso la cattedrale di San Marco al Cairo, ha espresso la condanna sia del film che del messaggio offensivo che esso trasmette, sottolineando che la Chiesa in Egitto desidera mantenere dei rapporti sereni ed aperti con tutti, sia cristiani che musulmani. Il collaboratore del presidente è attualmente impegnato – rivelano fonti locali – in una missione che mira a incontrare autorità religiose e civili per assicurare uno sforzo comune ad unire gruppi e comunità nella delicata fase di trasformazione del Paese. Morcos stesso ha riconosciuto che varie figure di primo piano, all’interno della comunità copto-ortodossa dell’Egitto, hanno denunciato la pellicola, sottolineando come sia necessario il rispetto per tutte le religioni ed il loro credo.
Tuttavia, l’intervento probabilmente più intonato alla serietà del momento e al tragico epilogo che gli scontri hanno avuto in Libia è quello di mons. Martinelli, vicario apostolico a Tripoli. Commentando anche per Città Nuova online gli episodi di violenza che hanno portato alla morte dell’ambasciatore Usa e di suoi collaboratori, ha riconosciuto che quanto accaduto è davvero terribile, ma ha anche evidenziato quanto sia «necessario evitare di offendere i sentimenti religiosi della gente». Mons. Martinelli, che vive nel Paese del Nord Africa dai primi anni Settanta, ha vissuto la dittatura di Gheddafi fino ai tragici eventi della Guerra civile che hanno portato alla sua destituzione e morte. «Le nazioni arabe – ha affermato – stanno vivendo un momento di cambiamento storico ed è pericoloso fomentare l’odio religioso». Il vescovo ha sottolineato come, sebbene non tutto all’interno delle religioni sia sacro e buono, tuttavia, sia necessario «comprendere la situazione critica di questi Paesi e rispettarne i sentimenti e la sensibilità».
In Italia, l’imam Kamel Layachi, responsabile del dipartimento Dialogo interreligioso e formazione del Consiglio delle relazioni islamiche italiane, rispondendo ad una lettera firmata da vari personalità religiose di Perugia, ha affermato di condividere «in pieno il contenuto del documento». «Credo – afferma Layachi – che la reazione violenta dei musulmani nei vari Paesi musulmani, che ha portato all'uccisione di diverse persone e il ferimento di tante altre, non può in nessun modo essere la giusta risposta alle offese, pure gravi e inaccettabili, nei confronti del Profeta Muhammad – la pace e la grazia di Allah sia con lui –. In questi momenti difficili la fede nel Dio uno e unico ci richiama alla saggezza, alla responsabilità e ad essere strumenti di pace e di coesione sociale. I musulmani di tutto il mondo sono chiamati a controllare la loro rabbia meditando il comportamento del Profeta stesso che durante la sua vita ha dato l'esempio di equilibrio anche nei momenti di difficoltà e di ingiustizia da lui subiti».
Ricordando che nella città del Taeef, quando il Profeta Muhammad fu umiliato e ferito gravemente dai pagani, un suo compagno gli chiese di pregare Iddio contro gli aggressori, il Profeta gli rispose: «Prego Allah perché illumini il loro cuore con la fede». «Nel suo esempio – nota l’imam Layachi – dobbiamo trovare la forza di reagire con la giusta misura e saggezza e di non rispondere al male con un male più grande e all'ingiustizia con un'ingiustizia più grande».
Infine l’Imam Layachi esprime la speranza che «Insieme e con l'aiuto di Dio siamo in grado di spegnere il fuoco che il film e tutti gli altri tentativi precedenti hanno cercato di accendere tra i popoli. Abbiamo questa grande responsabilità davanti a Dio e davanti all'umanità e per questo occorre essere fermi e decisi contro la violenza e contro le offese, autentici nel testimoniare i valori in cui crediamo».