Non abbandono la Chiesa
L’appuntamento è storico, in piazza San Pietro, per l’ultimo Angelus di Benedetto XVI, anche se l’evento non ha il sapore di una fine. Alle 9 e 30 del mattino, con il cielo coperto e una temperatura di cinque gradi, l’atmosfera che si respira è al contempo solenne e di festa. Un gruppo di giovani universitari di Trento e Rovereto, schierati a cerchio, intonano, con buoni risultati, canti Gospel come Freedom, Down by the Riverside. Si divertono, anche se sono partiti a mezzanotte sfidando le intemperie. Una coppia anziana di Ravenna non ha voluto mancare l’appuntamento con la storia, coniugato con un fine settimana di vacanze nella capitale che già segnala il tutto esaurito per il mese di marzo, quando comincerà il Conclave.
Nelle prime ore del mattino in piazza San Pietro si respira un clima di internazionalità che rispecchia l’universalità della Chiesa. Due signore tedesche mostrano uno striscione con la scritta: “Santo padre, noi ti amiamo”. Seminaristi messicani che intonano il classico Cielito lindo, le figlie di San Camillo vengono dal Burkina Faso, Argentina, India, sono studentesse a Tor Pignattara. Alcuni sacerdoti pregano il Rosario. Ci sono parrocchie di Caserta, Saccolongo in provincia di Padova, che agitano i loro fazzoletti rossi all’impazzata. Gli scout vengono da Serra San Bruno, in Calabria. I primi romani che incontro sono gli scout d’Europa che vengono da Ostia. Cantano a cerchio. Gruppi di neocatecumenali vengono da Pozzuoli, si notano gli striscioni di Azione cattolica e Comunione e Liberazione e le bandiere del Movimento per la Vita.
Alle 11 e 30 si fa fatica a muoversi nella piazza che conta 100 mila fedeli. È spuntato anche il sole. Quando il papa s’affaccia dalla finestra del suo appartamento è un boato da stadio, con cori e battimani, e più volte il suo breve discorso è interrotto da applausi. Commentando il brano del Vangelo della Trasfigurazione non può non fare un accenno all’esperienza che sta, personalmente, vivendo. «Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio ‒ dice il papa che tradisce un filo di emozione ‒ la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Grazie! Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze».
Non una fine appunto, ma un servizio che continua nella preghiera e nel nascondimento. Si ha l’impressione che la gente abbia capito il suo gesto. Che il papa abbia intrapreso questo nuovo cammino perché lo ha avvertito come volontà di Dio per lui, più adatto a lui in questo tempo di «età avanzata» e, forse, di pessimismo. Una rinuncia e non una resa. Un affetto che continua in una forma diversa. Un’assenza che si preannuncia come presenza per sedimentare tutto il patrimonio di libri, discorsi, esempi, frutto della sua vita spirituale e intellettuale che ha lasciato in eredità alla Chiesa. C’è commozione, preghiera, sentimenti di affetto e riconoscenza. «Nella preghiera ‒ conclude il papa ‒ siamo sempre vicini». Nel suo stile, sobrio, essenziale, saluta con pochi gesti, guarda per l’ultima volta la piazza gremita, si volta, urta, nel toglierli, i propri occhiali sul microfono e sparisce dietro la finestra. Nel tempo si capirà meglio il significato delle sue dimissioni e del loro effetto nel papa che verrà.