Non a caso ero lì

Quasi non mi sono accorto che il treno si è fermato fuori stazione e che questa sosta si sta prolungando. L’attenzione, infatti, da quando sono partito da Roma, è rimasta concentrata nella lettura di un libro atroce e stupendo, La masseria delle allodole. Avevo indugiato a lungo prima di iniziarlo, sapendo che l’argomento – il genocidio armeno – non era di quelli che lasciano tranquilli; poi però me l’ero portato dietro come unica lettura in treno proprio per costringermi a leggerlo. Ma ecco che la consapevolezza dell’imprevista fermata mi strappa alla tragedia armena. I pochi passeggeri di questa carrozza sono tutti affacciati ai finestrini del lato destro. Anch’io mi alzo, riconosco il posto dove ci siamo fermati: dev’essere a pochi chilometri da Aversa. Il binario è affiancato, alcuni metri sotto, da una strada provinciale oltre la quale inizia l’abitato. Una chiesa col suo complesso parrocchiale disterà in linea d’aria da dove mi trovo appena una quindicina di metri. Alcuni del personale del treno sono scesi sul ciglio della scarpata e vanno avanti indietro, gettando occhiate sotto la mia carrozza. Mi affaccio al finestrino di sinistra e vedo la stessa scena. Il primo mio pensiero è che si è trattato di un guasto, ma intanto gli altri si sono informati e corre un’altra voce, più tremenda: qualcuno si è gettato sotto le ruote al passaggio del treno. Il tempo passa, e chi ha fretta di arrivare ad Aversa o a Napoli abbandona il convoglio e scendendo lungo la scarpata con i suoi bagagli guadagna la strada. Intanto è arrivata la polizia; altri sopralluoghi, e sempre gli sguardi di tutti corrono all’estremità della mia carrozza. Penso con raccapriccio che il corpo deve trovarsi proprio lì, a pochi metri da me. Capannelli di curiosi si formano nella strada sottostante, intralciando il traffico, come pure oltre la cancellata che delimita il complesso parrocchiale. Frotte di ragazzini si arrampicano sul ciglio della scarpata per guardare più da vicino. Via via, non è uno spettacolo!, obietta qualcuno della polizia. Fatica sprecata: per quanti ne tornano indietro, altri ne sopraggiungono. Io non scendo, ma dal mio osservatorio scruto quei volti seri e aggrottati, leggendovi l’orrore, forse la pietà… ma non vedo nessuno farsi un segno di croce, accennare ad una preghiera. Finalmente, proprio di fronte a me, si schiudono le imposte di una finestra e un sacerdote compare. Guarda anche lui nella stessa direzione di tutti, poi gli vedo fare un segno di croce. Almeno quel povero morto non è rimasto privo di benedizione. Arriva un’ambulanza, issano sulla scarpata una bara di zinco e l’adagiano accanto alla mia carrozza. Uomini che indossano guanti di lattice si avvicinano per estrarre il corpo. Io mi affaccio dall’altra parte e ho la conferma di ciò che avevo sospettato: qualche decina di metri avanti, infatti, verso l’altra estremità delle carrozza, quella cosa scura che avevo notata fra l’erba, presso il binario, si rivela essere la testa troncata dalle ruote. Qualcuno è andato a raccogliere anche quel misero resto… Mi risiedo al mio posto. È il momento di pregare. È tutto quanto posso fare per la tragedia di una singola persona, dopo essermi immedesimato in quella di tutto un popolo. Forse non a caso mi trovo qui, oggi. E proprio alla vigilia di Pasqua, a breve distanza da una chiesa dove tra poco si celebreranno i riti della vittoria sulla morte.

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