Nomina ufficiale per il vescovo di Shanghai

Papa Francesco ha nominato vescovo di Shanghai mons. Shen Bin, trasferendolo dalla sede di Haimen. La decisione del pontefice avalla quanto deciso dal governo della Repubblica popolare cinese, che aveva suscitato più di un sospetto che l’accordo firmato tra Santa Sede e Pechino fosse stato disatteso dalle autorità cinesi. Con la nomina pontificia, la sede di Shanghai viene per così dire normalizzata
Shanghai

Come ricorda padre Gianni Criveller, grande esperto di Cina, in un articolo apparso su AsiaNews, Shanghai è stata per ben 10 anni senza un pastore. Infatti, l’ultimo vescovo, Aloysius Jin Luxian, era morto il 27 aprile 2013 mentre i due vescovi ausiliari presenti nella diocesi erano impediti dalle autorità ad esercitare il loro ministero. In particolare, il vescovo Taddeo Ma Daqin era stato al centro di una delicata situazione che di fatto lo aveva costretto a vivere all’interno del seminario ai piedi della collina del famoso santuario di Nostra Signora di Sheshan, senza alcuna possibilità di poter svolgere il suo compito pastorale. La novità della ufficializzazione della nomina di mons. Shen Bin alla sede di Shanghai è stata preceduta e accompagnata da due atti che non possono passare inosservati. Il primo, riguarda l’inclusione di mons. Stephen Chow, vescovo gesuita di Hong Kong, nella lista dei prossimi cardinali annunciata da papa Francesco stesso al termine dell’Angelus del 9 luglio scorso. Come accennato in altre occasioni, questo giovane vescovo, che ha appena completato il primo anno di attività episcopale, si sta delineando sempre più come una figura capace di mediazione nella delicatissima questione dei rapporti fra Santa Sede e governo di Pechino. Sarà, fra l’altro, l’unico vescovo cinese presente al prossimo Sinodo in programma nel mese di ottobre in Vaticano.

Un secondo aspetto, assai importante e assolutamente inedito, è stata l’intervista che il segretario di Stato Vaticano, il Card. Parolin, ha concesso a Vatican News proprio in merito alla normalizzazione della nomina di mons. Shen Bin. Nel contesto di questa dichiarazione, il segretario di Stato Vaticano, con il suo noto equilibrio e tratto sobrio, ha sottolineato che, per comprendere appieno quanto accaduto, è necessario ricordare che nell’ottobre dello scorso anno era stato rinnovato per un altro biennio l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina, che la Santa Sede ed il Governo cinese avevano firmato nel 2020. Dopo circa un mese, ha precisato Parolin, «la Santa Sede ha dovuto esprimere sorpresa e rammarico per la notizia dell’installazione di mons. Giovanni Peng Weizhao, vescovo di Yujiang, come ausiliare della Diocesi di Jiangxi, non riconosciuta dalla Santa Sede e senza che quest’ultima sia stata né consultata né informata».  Successivamente, nel mese di aprile si è presentata la vicenda di Shanghai, per la quale «la Santa Sede è stata informata del provvedimento adottato dalle Autorità cinesi di trasferire mons. Giuseppe Shen Bin, vescovo di Haimen, ma, senza essere direttamente coinvolta». A questo punto, il segretario di Stato vaticano ha inteso chiarire che il silenzio della Santa Sede in questi 4 mesi è spiegabile con «la decisione di prendere tempo prima di commentare pubblicamente il caso, [per] valutare attentamente sia la situazione pastorale della Diocesi di Shanghai, che è riconosciuta dalla Santa Sede e che da troppo tempo era senza vescovo, sia l’opportunità di trasferire mons. Shen Bin, pastore stimato».

Parole attente, quelle del cardinale, che, senza fare sconti al mancato coinvolgimento della Santa Sede e riconoscendo che «questo modus procedendi pare non tenere conto dello spirito del dialogo e della collaborazione instauratesi tra la Parte vaticana e la Parte cinese negli anni e che ha trovato un punto di riferimento nell’Accordo», sottolinea la volontà di papa Francesco di sanare una irregolarità canonica in vista del bene dei fedeli della diocesi. Infatti, di fronte ai dubbi espressi da più parti anche all’interno della Chiesa cattolica sulla validità dell’Accordo e sull’affidabilità delle autorità governative della Cina Popolare, la linea di papa Francesco è ancora una volta «fondamentalmente pastorale e permetterà a mons. Shen Bin di operare con maggior serenità per promuovere l’evangelizzazione e favorire la comunione ecclesiale». Il segretario di Stato non ha mancato, inoltre, di esprimere l’augurio che questo atto da parte della Santa Sede permetta nel corso del tempo di regolarizzare la dolorosa vicenda dei due vescovi ausiliari a cui si accennava in apertura di questo articolo.

L’intervista a Vatican News ha permesso al cardinal Parolin di chiarire l’importanza che «tutte le nomine episcopali in Cina, compresi i trasferimenti, vengano fatte consensualmente, come pattuito, e mantenendo vivo lo spirito del dialogo tra le Parti. Dobbiamo prevenire insieme – ha sottolineato il cardinale – le situazioni disarmoniche che creano dissapori e incomprensioni anche all’interno delle comunità cattoliche, e la buona applicazione dell’Accordo è uno dei mezzi per farlo, unitamente a un dialogo sincero». Una posizione, dunque, quella di papa Francesco che mostra come il punto che sta veramente a cuore al pontefice sia il bene dei cristiani in Cina. Si spera, infatti, che ora la diocesi di Shanghai possa nuovamente rimettersi in moto a livello pastorale ed ecclesiale, dopo anni di sopravvivenza problematica. Infine, non può passare inosservato il fatto che il card. Parolin coglie l’occasione per sottolineare ancora una volta come «i cattolici cinesi, anche quelli definiti clandestini, meritino fiducia, perché vogliono sinceramente essere leali cittadini ed essere rispettati nella loro coscienza e nella loro fede». E chiede alle autorità cinesi di «superare la diffidenza verso il cattolicesimo, che non è una religione da considerarsi estranea – tanto meno contraria – alla cultura cinese».

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