Noi siamo chi abbiamo amato

Ciascuno di noi porta in sé le vite degli altri. Ciascuno di noi è la sintesi delle persone incontrate e amate.

Non ho mai scritto di lei, in questa rubrica. Succede così quando passa il tempo, anche con le persone che abbiamo stimato e amato. Succede che le pensi meno. Succede che ne dimentichi i dettagli, le tante parole, i modi. Ti sembra di perderle e di non trattenerle. Il tempo addolcisce la mancanza ma non cancella le persone che sono state importanti nella nostra vita, penso ai miei nonni, a qualche maestro, agli amici che oggi non ci sono più o che abbiamo perso di vista (ma che restano con noi anche se lontani). Forse per questo – in tanti anni che scrivo su queste pagine – non ho mai pensato di scrivere di Chiara Lubich, ispiratrice di questa rivista e spiazzante creatrice di parole, di modi di pensare, di scelte di vita di tanti lettori. Presente e assente in queste pagine.

Non ho mai scritto di lei e non lo farò neppure adesso: rifuggo da ogni agiografia, nostalgia, amore per il passato. Se c’è una cosa che posso dire di avere apprezzato di lei, fin da bambina, è quel gusto di stare con anima e corpo nel proprio tempo, con libertà di pensiero. Non sono i memoriali che tengono in vita chi non c’è più, ma viverne in noi la stessa passione, anche se con linguaggi differenti.

Perché chi non c’è più, ma ci ha in qualche modo influenzato, ce lo ritroviamo nella pelle nei momenti più strani della vita, persino negli atteggiamenti più remoti e inconsci. Perché gesticolo tanto a lezione o nelle occasioni pubbliche e parlo come dovessi ribaltare l’aula? Perché la parola che ha bisogno del gesto e dell’enfasi e della passione che passa attraverso il corpo e viola ogni timidezza l’ho imparata da Chiara, così universale nel messaggio e così italiana nella forma. Perché mi piace spiazzare, confondere le acque, ribaltare le convenzioni? Perché mio nonno aveva il gusto anarchico della sovversione e più passa il tempo e più capisco perché diceva di non avere riverenza verso nessuno. Perché non posso sopportare ogni adesione religiosa e di vita che non passi al vaglio della ragione, del dubbio radicale, dell’esperienza? Perché ho conosciuto persone di dubbio e di coraggio, come Carlo Maria Martini. Non posso che pensare a lui quando sottolineo un libro con la matita e faccio quel gesto banale che lui ci ha insegnato e che – secondo il suo pensiero – significava: «Io decido cosa sottolineare e cosa ricordare». Anche se il libro è il Vangelo.

Ciascuno di noi porta in sé le vite degli altri. Ciascuno di noi è la sintesi delle persone incontrate e amate, di quelle che ci hanno capito e di quelle che ci hanno tradito. E questa mescolanza ci rende pienamente umani, pieni di sfumature e di colori.

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