Noi ci aiutiamo
Sono 9 mila nel nostro Paese i gruppi di auto-aiuto che coinvolgono quasi 200 mila persone.
«Quando penso al gruppo mi viene in mente il detto “mal comune mezzo gaudio”. E sinceramente questo proverbio mi sembra azzeccato per il mio gruppo. Siamo infatti accomunati da una malattia che ci accompagnerà per tutta la vita e per questo motivo è bene condividere le nostre esperienze. I grandi pesi devono essere divisi, in modo che il carico che ognuno porta sia un po’ più leggero».
Ad esprimersi così è Sara, malata di diabete; il gruppo di cui parla è uno dei 9 mila di auto-aiuto esistenti in Italia. Ce n’è per tutti i gusti: dai più noti alcolisti e giocatori d’azzardo ai mangiatori compulsivi, sieropositivi, depressi, malati mentali, neo mamme e genitori in cerca di soluzioni.
In Italia quasi 200 mila persone con problemi di varia natura cercano rimedio nell’aiuto di chi vive la propria stessa situazione. Gruppi che crescono ogni anno del 20 per cento nel loro insieme, e che sempre più trovano spazio sulla Rete con un proliferare di portali che li rendono più facilmente identificabili e raggiungibili. Lo sviluppo assunto da questi gruppi ha reso necessaria la creazione di un Coordinamento nazionale dei gruppi di auto-aiuto, oltre che regionale, così come è diventata prassi svolgere ogni due anni un congresso a livello europeo, The european export meeting on self help, che si rivela sempre più interessante per un confronto tra le diverse realizzazioni del Continente.
Ma torniamo alla nostra Sara. La sua è una delle tante esperienze messe in comune da un progetto – “I cerchi narranti” – che vuole raccogliere in un libro le testimonianze dei diversi gruppi di auto-aiuto.
Praticamente un auto-aiuto che si moltiplica ed esce dal gruppo per raggiungere chi fatica a lanciare l’sos della propria difficile esistenza. Che il gruppo non sia una bacchetta magica è evidente. «Nessuno è guarito – continua Sara –, nessuno ha trovato la soluzione alla nostra malattia, ma esso è servito a rendermi conto che quotidianamente non ero sola, mi ha fatto capire che potevo sbagliare e ricominciare, che il mio piccolo male non mi impediva di uscire, di lavorare, di sposarmi e magari di fare anche dei figli. I componenti del gruppo mi hanno aiutato ad alzare il tappo con il quale mi nascondevo nel mio buco di ignoranza e di sopravvalutazione delle difficoltà».
E succede qualcosa anche al di là della malattia: «Oltre la dieta ideale siamo curiosi di sapere come vanno le nostre vite in generale perché noi ci vediamo in primo luogo come persone e poi come malati. Qualcuno ha detto: “La forza è dentro di noi”, ma a volte ci vuole l’altro per scoprirla», conclude la testimonianza. Eloquente.
Del gruppo fanno parte non solo i “portatori” di uno specifico problema, ma anche il personale medico e i conduttori, i cosiddetti facilitatori, cioè quelli che devono gestire il dialogo. Anche per loro il gruppo è importante, come racconta Tiziana: «Gruppo significa scambio, comunicazione, aiuto. E ciò non soltanto per i cosiddetti pazienti, ma anche per i medici come me che trovano il coraggio di mettersi in discussione, rischiando un’immagine di sé spesso fasulla, che si sono costruiti al di là del tavolo. Spero di accompagnarli ancora a lungo, in un percorso di formazione reciproca che ci porti alla fine ad essere meno soli e, forse, un po’ migliori». E cosa impara un facilitatore? L’ascolto, il rispetto, il non giudizio, «il vero significato della pazienza, l’accoglienza della sofferenza per trasformarla in risorsa e il coraggio di rinascere, prendendosi cura del proprio sé fragile», racconta Silvia.
In effetti un passo importante che si arriva prima o poi a fare con l’aiuto del gruppo è quello di non subire le proprie sofferenze, ma cercare di risolverle e non solo con l’apporto dei medici e dei farmaci, ma tirando fuori tutte le potenzialità e le risorse personali che rendano ciascuno protagonista della propria vita, anche se complicata. In pratica, guardare in faccia il problema e attrezzarsi per gestirlo al meglio, senza vittimismi sempre a portata di mano. Ma questo è possibile se non si rimane da soli. Tanti dei nostri lettori ne sanno qualcosa!