Noi albinoi

Un paesaggio interamente innevato, un villaggio su una stretta striscia di terra chiusa tra il mare cupo ed una ghiacciata montagna scoscesa. Siamo in Islanda, vicino al circolo polare artico. Noi è un giovane di 17 anni, un albino, dotato di una certa dolcezza, ma incapace di inserirsi nella scuola e nel mondo degli adulti. Personaggio ideato dal regista Dagur Kari, quando anche lui aveva 17 anni, racchiude, certo, parte della sua personalità e dei suoi problemi. Lo stile asciutto di Nòi albinòi, la lentezza e la cura per l’osservazione dei comportamenti, osservati a volte con tocchi di umorismo, contribuiscono a manifestare un’ottica non superficiale. Quella che può nascere quando si considera il vuoto sofferto da chi dice, sinceramente, di non conoscere un Dio, né la preghiera del Padre Nostro, e si sente attratto da nascondigli sotterranei e bui, riuscendo a immaginare un litorale in pieno sole soltanto come una meta lontana. L’estraneità alla vita del paese è collegabile, in qualche modo, alla distruzione dello stesso ad opera di una valanga. Il film, candidato all’Oscar per l’Islanda, è l’opera giovanile di un autore che dimostra talento e predilezione per la solitudine esistenziale, considerandola con la serietà di Kierkegaard, citato in un dialogo, senza lasciarsi afferrare dalla disperazione. Regia di Dagur Kari; con Tomas Lemarquis, Throstur Leo Gunnarsson. Raffaele Demaria

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