Nobel economia e rapporto Onu sul clima

Premio Nobel per l’economia a William Nordhaus, precursore dell’idea di interconnessione tra attività umane e ambiente. Il nuovo rapporto Onu sui cambiamenti climatici. La visione di “ecologia integrale” della Laudato si’ punto di riferimento per gestire il sistema mondo nella sua complessità

Due eventi recenti ci possono far capire ancora una volta come il nostro mondo sia estremamente interconnesso e come il benessere della natura sia strettamente collegato con quello degli uomini, proprio nello spirito dell’ecologia integrale che papa Francesco ha descritto e promosso nella sua enciclica Laudato si’.

La prima notizia, infatti, è quella del premio Nobel per l’economia assegnato a William Nordhaus, un pioniere dello studio degli influssi reciproci tra cambiamenti climatici e crescita economica. Egli, negli anni ’70, è stato il primo ad introdurre variabili climatiche nei modelli economici e a studiarne gli effetti sulle varie attività, evidenziando ad esempio che quelle che dipendono fortemente da piogge e temperature (come l’agricoltura) saranno le più colpite. D’altro canto, ha chiaramente considerato come la crescita economica, con le sue emissioni di gas serra, produca gran parte del riscaldamento e dei cambiamenti climatici attuali. Si tratta ovviamente di studi pionieristici che oggi sono stati dettagliati molto meglio, ma anche per merito dello stesso Nordhaus, che, nonostante i suoi 77 anni, continua a far ricerca attivamente. Insomma, mi sembra che con il Nobel di ieri si sia premiato un precursore dell’idea della interconnessione tra attività umane e ambiente.

La seconda notizia è quella dell’uscita di un nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, scritto da un gruppo di scienziati del clima che periodicamente analizza la letteratura scientifica specialistica per fare il punto delle nostre conoscenze sui cambiamenti climatici.

In seguito all’accordo di Parigi del 2015, i negoziatori, spinti soprattutto dai rappresentanti delle piccole isole del Pacifico (che rischiano di essere sommerse dalle acque dell’oceano), chiesero agli scienziati di studiare gli scenari possibili per contenere l’aumento di temperatura media globale entro 1,5°C rispetto all’epoca pre-industriale, con l’intento di capire come poter raggiungere questo obiettivo e per comprendere quali danni si potrebbero evitare così facendo.

Il rapporto IPCC uscito ieri risponde proprio a queste domande. Il lavoro è molto tecnico ed esteso, ma un riassunto divulgativo per i politici (http://report.ipcc.ch/sr15/pdf/sr15_spm_final.pdf) permette a tutti di comprenderne i risultati fondamentali. Li schematizzo in breve:

  • se continuiamo con la tendenza attuale delle emissioni di gas serra, si assisterà ad un aumento di temperatura di 1.5°C rispetto all’era pre-industriale nel periodo che va dal 2030 al 2052;
  • all’aumentare della temperatura, i rischi futuri collegati al cambiamento climatico sono superiori a quelli attuali, ma comunque quelli associati ad un aumento di 1,5°C sono sensibilmente minori di quelli che si riscontrerebbero con un aumento di 2°C o più. Si tratta di differenze di temperatura media nelle diverse regioni del globo, ondate di calore, eventi estremi di pioggia, siccità e deficit di precipitazione;
  • a fine secolo l’aumento del livello del mare sarebbe inferiore di circa 10 cm nello scenario di +1,5°C rispetto a quello di +2°C, mentre anche la biodiversità sarebbe più tutelata nel primo scenario, specie nel mare, di cui sarebbe diminuito anche l’incremento di acidità. Le barriere coralline potrebbero scomparire nello scenario dei +2°C;
  • per i ghiacci del Polo Nord nel futuro, lo scenario di +1.5°C ci dà la probabilità di vedere una estate senza ghiacci ogni secolo, mentre in quello di +2°C questa probabilità diventa di una ogni 10 anni;
  • se vogliamo raggiungere un aumento massimo di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, dobbiamo diminuire le nostre emissioni del 45% nel 2030 (rispetto a quelle del 2010) e azzerarle nel 2050. Se invece “ci accontentiamo” dello scenario dei 2°C, dobbiamo comunque diminuirle del 20% nel 2030 e azzerarle nel 2075;
  • si stima la necessità di investimenti di 450 miliardi di dollari all’anno per limitare il riscaldamento a 1,5°C, mentre per i +2°C ce ne vorrebbero 300 miliardi. Questo significa investire su rinnovabili ed efficienza energetica, ma anche “tassare” o togliere incentivi alle fonti fossili. E pure l’uso del suolo, gli stili di vita e la sovrappopolazione hanno un ruolo riconosciuto dall’IPCC.

In generale, nel rapporto si considerano tutti questi scenari, impatti, azioni climatiche nel contesto dei cosiddetti “obiettivi di sviluppo sostenibile” (https://sustainabledevelopment.un.org/?menu=1300), che riguardano la totalità dei problemi che il nostro mondo dovrà affrontare nel prossimo futuro: povertà, fame, pace, giustizia, ecc.. In questo c’è una chiara visione sistemica che, nel nostro “sistema mondo” così complesso, non mira a risolvere un unico problema a scapito degli altri, ma tende a risolvere più problemi insieme con una visione “integrale”, in cui i problemi degli uomini, specie dei più deboli, vanno insieme ai problemi della natura.

In questo contesto, la giornata di ieri mi pare rinforzi l’idea che proprio la visione di ecologia integrale contenuta nella Laudato si’ rappresenti la strada da seguire per risolvere l’attuale crisi ambientale e con essa mitigare i “gemiti” degli uomini, specie dei più deboli.

 

Antonello Pasini è fisico del clima al CNR

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