Nobel per la pace (in guerra)

Il riconoscimento 2022 è stato attribuito in Norvegia ad Ales Bialiatski e a due organizzazioni umanitarie russa e ucraina. Una scelta “politica”
Alaksandr_Bialacki premio Nobel per la pace (AP Photo/Sergei Grits, File)

Lo si attendeva. Il comitato per il Nobel per la pace, riunitosi a Oslo, in Norvegia – il riconoscimento viene dato in Norvegia e non in Svezia, come avviene per gli altri premi – ha attribuito il massimo premio in materia, come ci si attendeva, a esponenti del pacifismo presenti nella regione europea in cui da febbraio si sta combattendo una sanguinosa guerra. Ad essere premiato per primo è stato Ales Bialiatski, un attivista bielorusso impegnato nel Viasna Human Rights Centre of Belarus, ma al dissidente di Minsk sono state associate due organizzazioni umanitarie come la Memorial russa e Il Centro per le libertà civili dell’Ucraina.

Citazione dalla motivazione: i riconoscimenti sono stati concessi in onore dell’«impegno in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere, di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere, per aver documentato crimini di guerra». Contestualmente, il Comitato per il Nobel ha rivolto a Minsk l’invito a liberare Ales Bialiatski, per bocca della presidente del comitato, Berit Reiss-Andersen.

Chi sono i laureati? Ales Bialiatski, 60 anni, è un noto attivista per i diritti umani bielorusso, obiettore di coscienza e tra i fondatori dell’ong bielorussa Viasna. Nel 2011 il regime di Lukashenko lo ha arrestato per evasione fiscale, un pretesto, ovviamente.. Rilasciato nel 2014, è stato arrestato di nuovo dopo una violenta perquisizione alla sede della Ong bielorussa ed è stato condannato a ulteriori sette anni di carcere, sempre per presunta evasione fiscale, ed è tuttora in carcere. Bialiatski ha ricevuto il Premio Sakharov da parte del Parlamento europeo nel 2020, e del premio Vaclav Havel per i Diritti umani nel 2012 dal Consiglio d’Europa. È la quinta volta che viene nominato per il Nobel.

L’ong russa Memorial, fondata nel 1989, quando l’Unione sovietica era vicina al suo crollo, ha sempre lavorato per conoscere e denunciare le violazioni e i crimini commessi durante il terrore imposto dal regime di Stalin, ma si è da sempre interessata anche ai diritti umani nelle zone di conflitto, non solo nell’Urss. In realtà Memorial è un consorzio di una sessantina di Ong, non solo russe. Lo si ricorderà: il 5 aprile scorso, Memorial è stata messa fuorilegge in Russia con la famigerata accusa di essere un «agente straniero». Ha dovuto cessare ogni attività ufficiale.

Il Centro per le libertà civili ucraine, invece, è una Ong ucraina meno conosciuta. Fondata nel 2007 è dedita alla documentazione di crimini di guerra, abusi sui diritti umani e abusi di potere. Nel suo statuto si legge: «Il Centro vuol essere uno degli attori principali per influenzare l’opinione pubblica e la politica, per favorire lo sviluppo di un attivismo civico». Il Centro non è sempre stato tenero con l’attuale esecutivo.

Naturalmente i commenti si dividono: condanna senza se e senza ma della decisione del comitato viene da Mosca, mentre in Occidente si plaude alla decisione. Così Valery Fadeyev, capo del Consiglio presidenziale sulla società civile e i diritti umani, ha detto: «Negli ultimi decenni il premio è stato assegnato a persone piuttosto serie: Madre Teresa, Croce Rossa, Martin Luther King, Willy Brandt. Ora viene dato a una presunta organizzazione ucraina per i diritti umani e a persone come quel presunto difensore dei diritti umani in missione per rovesciare lo stato bielorusso». E ancora: «Il Nobel per la Pace ha cessato di essere un premio di un qualche significato e un premio per la pace, ed è stato completamente screditato dalla decisione odierna». Va ricordato che lo scorso anno il premio era andato a un altro russo, Dmitrij Muratov, il direttore del quotidiano russo Novaja Gazeta.

Gli europei esultano: «In tempi in cui la pace è messa alla prova − ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel −, il Nobel per la pace 2022 è un faro di luce e un simbolo di pace tra le nazioni». «Il diritto di dire la verità al potere è fondamentale per società libere e aperte», scrive da parte sua il Segretario della Nato, Jens Stoltenberg. E Ursula von der Leyen: «Il Comitato per il Nobel ha riconosciuto l’eccezionale coraggio delle donne e degli uomini che si oppongono all’autocrazia. Mostrano il vero potere della società civile nella lotta per la democrazia. Bisogna raccontare le loro storie, condividere il loro impegno e aiutare a rendere il mondo un posto più libero». La moglie di Bialiatski, Natallia Pinchuk, si dice travolta dalla «commozione e dalla gratitudine».

La caratura “politica” della decisione dell’istituzione norvegese dimostra ancora una volta come il campo scelto sia stato quello occidentale, con la sua concezione dei diritti umani, considerati come faro della vita democratica. Nulla da dire. E tuttavia appare evidente come una tale scelta di campo, in un momento in cui i cannoni tuonano, non possa che esacerbare gli animi, chiudendo spazi di riavvicinamento sempre possibile anche in contesto bellico. Lo stesso Zelensky non si è detto entusiasta del premio, che forse voleva “costringere” i diversi attori in campo a riflettere sulla centralità dei diritti umani, che in guerra vengono sempre e comunque calpestati. Il presidente ucraino non ha apprezzato il fatto che erano state premiate due organizzazioni, quella russa e quella bielorussa, incapaci di evitare la guerra.

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