No figli? No futuro
Dall’eugenetica all’inverno demografico. L’importanza delle politiche familiari per invertire la tendenza.
Duecento anni fa il reverendo Robert Malthus arrivò in una chiesetta sperduta tra le colline a sud di Londra. A contatto con la locale popolazione, umile, ignorante e indigente, si convinse che una catastrofe era imminente: la velocità con cui i poveri si riproducevano, infatti, era superiore alla disponibilità di cibo. Mangiavano pane e patate, e ogni donna generava quattro o cinque figli che sopravvivevano in media poco più di vent’anni tra fame, sporcizia e malattie. La natura per fortuna provvedeva a farne morire molti di stenti, riportando equilibrio tra popolazione e cibo disponibile. Terribile, ma elementare. E non ci si poteva far niente. Anzi, siccome era chiaro che non c’era posto per tutti «al banchetto della natura», bisognava smettere di aiutare i poveri a sposarsi e riprodursi.
Nei successivi trent’anni, Malthus divenne famoso – soprattutto tra ricchi, intellettuali e padroni delle fabbriche –, per questa idea, semplice, “razionale” e devastante, che si diffuse rapidamente ovunque. Darwin ne prese spunto per definire la sua teoria della selezione naturale, basata sulla sopravvivenza del più adatto.
Irlanda ed eugenetica
La carestia che scoppiò in Irlanda nel 1845, a causa di un fungo che distruggeva i raccolti di patate, fu l’occasione giusta per mettere in pratica su larga scala tale teoria. Ci fu una forte opposizione a mandare aiuti, anche perché la meccanizzazione del lavoro rendeva inutili le braccia dei figli delle famiglie numerose, per cui la colpa di quanto accadeva era solo loro. La catastrofe che ne seguì provocò lo spopolamento dell’Irlanda per molti decenni a seguire.
Nel frattempo nuove idee si diffondevano: se le specie possono evolvere, come diceva Darwin, allora possono anche regredire, peggiorare, per cui i poveri sono una minaccia da cui la società deve difendersi. Nasceva l’eugenetica, con il nobile scopo di salvare la società, controllando l’evoluzione della razza umana. Agli inizi del Novecento, negli Stati Uniti iniziava la sterilizzazione coatta dei minorati mentali, mentre in Inghilterra George Bernard Shaw e Winston Churchill spingevano per politiche analoghe. Il Giappone imperiale e la Svezia pacifista decidevano massicce sterilizzazioni forzate di disabili psichici, in grande maggioranza donne. Ovunque nascevano agguerrite fondazioni per il controllo della popolazione. Finché in Germania un certo Hitler decise di mettere in pratica su scala globale le idee studiate sui testi americani.
Onu ed altri organismi “umanitari”
Dopo la seconda guerra mondiale cambiò la strategia. «Entro il 1983 morirà di fame un miliardo di persone», tuonavano negli anni Sessanta i catastrofisti ambientali, e se l’eugenetica imposta non era più ormai politicamente accettabile, si poteva però fare opera di convincimento: per esempio gli aiuti ai Paesi poveri dovevano essere erogati solo in cambio di rigide politiche di limitazione delle nascite. Fino agli anni Sessanta ci pensarono le agenzie Onu e le grandi istituzioni private, soprattutto statunitensi, a sostenere e pagare la crociata per l’abbattimento della natalità in Giappone, America Latina, Bangladesh, Egitto, Caraibi. Poi subentrarono direttamente i governi, in Asia, Africa, Brasile.
Finché l’Onu creò un apposito organismo, l’Unfpa, per attuare il programma globale: gli Stati che si opponevano al controllo della natalità, oltre a non ricevere aiuti, venivano sottoposti a pressioni di tutti i tipi. In India furono allestiti campi per le sterilizzazioni di massa: chi non accettava perdeva l’assistenza medica e altri diritti civili. Le popolazioni povere, però, contrariamente alle previsioni, erano tutt’altro che docili: ci furono disordini violenti e alle successive elezioni il partito di governo perse le elezioni. In Cina fu introdotto il figlio unico, con aborti obbligatori (il responsabile del programma cinese fu premiato dall’Onu nel 1983).
Contraccettivi e rivoluzione verde
Nel frattempo, la capillare campagna per convincere le donne dei Paesi poveri ad adottare sistemi contraccettivi ebbe un successo superiore alle aspettative, con riduzioni impressionanti nel numero di figli per donna. Anche perché c’era stata la grande novità della “rivoluzione verde”: incrociando le varietà naturali di riso, grano ed altri cereali, l’agricoltura aveva aumentato enormemente la resa per ettaro ed era ormai in grado di sfamare il mondo, allontanando il pericolo di carestia globale temuto da Malthus e dai catastrofisti. Le monoculture su larga scala, però, richiedevano pesticidi e macchine, non braccia umane, quindi le famiglie numerose non erano più necessarie. A questo si aggiungeva il progressivo ed inarrestabile cambiamento negli stili di vita: le donne si realizzavano anche fuori casa, per cui i figli non erano più una priorità, bensì un investimento, spesso costoso e limitante. Gli uomini continuavano ad aiutare poco in casa, mentre la crisi globale non permetteva di programmare con fiducia il domani.
Quale futuro?
Per il sommarsi di questi fattori, il numero di nati inizia a decrescere velocemente in tutto il mondo, fino a portarsi in moltissimi Paesi ben sotto la fatidica soglia di circa 2,1 figli per donna, soglia necessaria per mantenere almeno stabile il livello di popolazione. In Europa si svuotano prima le campagne, poi i paesini isolati, poi le città e le zone non strategiche. Aumentano gli anziani (pensionati), spariscono i giovani (che lavorando pagano le pensioni ai vecchi). Gli immigrati sono gli unici che portano forze fresche. Nessuno studioso, salvo qualche isolata Cassandra, aveva previsto questo improvviso e globale calo di natalità.
I politici ora cominciano a preoccuparsi, le scuole chiudono, tante piccole comunità locali spariscono, le società non reggono, bisogna fare dietro front e cambiare le parole d’ordine: forza donne, generate più figli! Ma non sembra facile invertire la tendenza: secondo alcune statistiche, in Europa quasi una donna su tre dichiara in effetti di non volere figli. La società è cambiata, nel profondo, per cui va cercato un nuovo equilibrio sia nel rapporto uomo-donna, sia come speranza di futuro per i giovani.
Evitiamo però il catastrofismo alla rovescia: piccoli segnali di inversione del trend già si intravedono. Certi governi (vedi box) puntano sulle famiglie. E la creatività, la tenacia, la fiducia nel domani, che non sono mai mancate al genere umano, faranno il resto. Utilizzando, necessariamente, idee e stili di vita nuovi, all’altezza della situazione.
Italiani ultimi nel mondo
Pia Angerame insegna Demografia all’università La Sapienza di Roma.
Il trend di diminuzione delle nascite è inarrestabile?
«No. Le politiche familiari degli Stati influiscono molto nel costruire la fiducia nel futuro, per il lavoro dei figli, sui costi dell’educazione. La Francia, per esempio – come Germania ed altri Paesi europei –, ha una lunga tradizione in questo campo: per ogni figlio è previsto una specie di stipendio, per cui la donna si fida. Certo, oggi non c’è la cultura della famiglia come una volta, ma se la coppia si reputa stabile vediamo che il figlio lo fa».
È vero che noi italiani siamo ultimi nel mondo come voglia di avere figli?
«Lo siamo stati fino a pochi anni fa. Grazie al contributo dei figli degli immigrati, però, ora siamo risaliti, come tasso di fecondità, da circa 1,2 a circa 1,3 figli per donna (in media). Come tasso di natalità, invece, abbiamo 9,5 bambini nati ogni mille abitanti (dati 2009), per cui siamo ancora gli ultimi nel mondo. Ma questo dato dipende anche dall’invecchiamento della popolazione. È tutto collegato».
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