No all’apertura durante le feste

Pisapia e Scola contrari alla liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi. «Oltre che il diritto al lavoro, c’è anche il diritto al riposo, chi lo nega con una legge ingiusta compie un atto antidemocratico»
Negozi

Contrari alla liberalizzazione totale delle aperture dei negozi, come previsto dal decreto “Salva Italia”, a Milano sono il primo cittadino e il cardinale. A entrambi, per motivi quasi simili, non piace che i negozi siano aperti nei giorni festivi e nelle feste religiose e laiche. L’arcivescovo Scola lo ha chiaramente espresso nell’omelia di una messa domenicale. «Pensiamo all’importanza della famiglia e pensiamo anche al senso del lavoro, alla fatica di questi tempi, all’importanza del riposo festivo. È giusto conservare questo, che è uno spazio di comunione, così come la festa è un luogo sociale: se in una famiglia il papà fa riposo un giorno, la mamma un altro, il figlio un altro ancora non si attinge il riposo in senso forte».
 
Il comune, da parte sua, sta cercando di arginare l’apertura domenicale nonostante una sentenza del Tar abbia già dato ragione ai commercianti. «Stiamo studiando una serie di ordinanze che fissino alcuni paletti: il primo sarà la tutela di dieci festività laiche e religiose durante l’anno – dicono a Palazzo Marino –, giorni in cui le serrande dovranno restare abbassate. E si partirà già con il 25 aprile e il primo maggio». L’assessore al commercio, Franco D’Alfonso, sta ascoltando associazioni di categoria, cittadini, sindacati dei lavoratori, per scrivere ordinanze quanto più possibili a prova di ricorso. Il sindaco Pisapia, ancora, al congresso provinciale delle Acli di Milano ha rimarcato il diritto al riposo con queste parole: «Oltre che il diritto al lavoro, c’è anche il diritto al riposo, chi lo nega con una legge ingiusta compie un atto antidemocratico».
 
Sempre in tema lavoro il cardinale Scola, intervenendo al congresso delle Acli, ha detto: «Non bisogna fermarsi alle soluzioni tecniche. Nonostante il tentativo di mettere tra parentesi la regione etica e antropologica della crisi finanziaria, il peso della persona e delle relazioni torna sempre a farsi sentire. È evidente che non basta la competenza fatta dai calcoli per affrontare la crisi, occorre un ripensamento della ragione, sia economica, sia politica. Per sollevare la nazione è necessario il contributo di tutti, come avviene in una famiglia in un momento di crisi».
 
Scola ha inoltre voluto sottolineare il senso del lavoro dei giovani nell’epoca che stiamo attraversando. «Non siamo più nell’epoca fordista, i giovani devono quindi imparare realmente che il lavoro sarà sempre più un percorso e sempre meno un posto fisso. Questa mutazione però non significa cadere in una concezione di mobilità che sia precarietà, bisogna quindi tutelare i diritti fondamentali del soggetto lavoratore. Dobbiamo tutti, in un confronto propositivo, trovare quel compromesso nobile che è necessario per vivere insieme». Durante il suo intervento, l’arcivescovo ha anche lanciato due spunti, uno metodologico e uno contenutistico riguardo l’azione sociale che un’associazione come le Acli svolge. Per quanto riguarda il metodo ha spinto l’azione sociale verso una vera cultura realistica del lavoro, al fine di allontanarsi da forme di utopia che possono spingere gli uomini in una direzione di mentalità egemonica e unilaterale. Rispetto al contenuto dell’azione sociale, invece, ha parlato dei princìpi di solidarietà, sussidiarietà e di bene comune come pilastri della dignità della persona.
 
 

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