No all’acciaieria, la Danieli chiede i nomi dei firmatari
Avevamo già riferito su queste pagine di come una petizione popolare, con le sue 24mila firme (di cui poco meno di 22mila ufficialmente convalidate), aveva ottenuto che la Regione Friuli Venezia Giulia non autorizzasse il progetto dei gruppi siderurgici Danieli (friulano) e Metinvest (ucraino) di realizzare un’acciaieria “verde” (senza emissioni, in quanto alimentata ad idrogeno) a San Giorgio di Nogaro (Udine): una zona sensibile dal punto di vista naturalistico, in quanto a ridosso delle lagune di Grado e Marano e dei loro delicati ecosistemi. Danieli ha così poi spostato il proprio investimento su Piombino; ma è notizia recente che il capitolo friulano non è chiuso.
Il gruppo ha infatti chiesto alla Regione accesso agli atti che hanno giustificato, da parte di Piazza Unità, la decisione di non procedere; tra cui le 24mila firme depositate, e quindi i nominativi dei firmatari. Il presidente del Consiglio Regionale, Mauro Bordin, ha rifiutato, opponendo ragioni di privacy; ma Danieli ha fatto ricorso al Tar contro questo rifiuto.
Per quanto il gruppo di Buttrio abbia motivato la richiesta di accesso agli atti con la volontà, essendo azienda quotata, di spiegare ai propri azionisti le ragioni del no all’impianto di San Giorgio e la conseguente decisione per Piombino, il sospetto di diverse associazioni della società civile e di alcuni partiti d’opposizione è che invece avere i nomi serva ad avviare una causa per diffamazione contro i firmatari. Sin dalle prime battute la Danieli aveva infatti sostenuto di essere vittima di una campagna diffamatoria, portata avanti sia dalle realtà locali che dalla stampa, che avrebbe dipinto l’acciaieria come una sorta di mostro; creando così un danno d’immagine che ha prima portato allo stop all’impianto di San Giorgio, e poi a numerose difficoltà anche a Piombino, nonostante gli studi effettuati dalle Università di Udine e Trieste avessero escluso impatti negativi per l’ambiente legati all’acciaieria. L’azienda, in una nota, ha però replicato che «l’ipotesi di una causa ai 24mila cittadini è frutto di ricostruzioni giornalistiche fantasiose e destituite di ogni fondamento».
Le affermazioni della Danieli, tuttavia, non sono bastata a placare gli animi. Sul fronte politico, diversi partiti di opposizione hanno fatto sentire la loro voce: Alleanza Verdi Sinistra ad esempio, in una nota, ha definito «inaccettabile la richiesta di accesso da parte della Danieli all’elenco dei 24mila firmatari della petizione contro il progetto di acciaieria in Laguna. Esprimiamo molta preoccupazione per questa azione dagli scopi non chiari, ma inquietanti, e chiediamo alla Regione di resistere a un atto che sembra, ai nostri occhi, virato a una intimidazione contro la libera espressione democratica dei cittadini friulani». Il capogruppo in Consiglio regionale del Patto per l’Autonomia-Civica Fvg, Massimo Moretuzzo, ha annunciato da parte sua di aver depositato un’interrogazione sul tema in Consiglio.
La questione è stata oggetto anche di un intervento parlamentare della deputata di AVS Luana Zanella, che ha annunciato «una interrogazione ai ministri Piantedosi e Pichetto Fratin per sapere come intendano isolare una ingerenza di questo tipo nelle decisioni dei territori», i cui cittadini sono arrivati a «costringere la Regione, con una petizione popolare, ad un passo indietro rispetto ad una scelta che il governo Meloni ha caldeggiato con un decreto omnibus che consente, in caso di grandi investimenti, l’abolizione delle autorizzazioni in nome del preminente interesse strategico nazionale». Zanella ha altresì sottolineato i legami tra l’acciaieria e il tema degli armamenti, in quanto «progettata assieme alla Metinvest ucraina per le esigenze belliche del Paese in seguito alla perdita della acciaieria Azovstal di Mariupol. Ora apprendiamo che il Gruppo Danieli vorrebbe conoscere i firmatari della petizione che ha portato al dietrofront della Regione friulana: è un atto che ci preoccupa per l’invadenza delle pretese del profitto su quelle della democrazia. In ogni caso mi autodenuncio: io sono tra chi si è opposto, firmando interrogazioni e ogni altro atto che potesse impedire uno scempio di territorio e di denaro pubblico».
Tra le associazioni è da registrare in particolare il comunicato congiunto di Legambiente e WWF, che definisce la richiesta dei nomi dei firmatari «un’intimidazione inaudita, al di là del merito: una richiesta che stupisce da parte di un gruppo industriale che afferma di voler produrre l’acciaio in modo sostenibile, che mette la sostenibilità tra i suoi valori […] L’atto compiuto dal Gruppo Danieli pare voler tendere a ledere il più elementare diritto e dovere dei cittadini alla partecipazione: questo certamente non gioverà al profilo “verde” dell’azienda presso l’opinione pubblica e gli investitori internazionali, oltre che gettare pesanti dubbi sulle sue reali intenzioni».
Ma a reagire sono stati, naturalmente, anche gli amministratori locali e i cittadini interessati: il sindaco di Marano Lagunare, Mauro Popesso, ha risposto invitando ad una gita in barca in laguna per capire il perché le popolazioni abbiano detto di no all’acciaieria. Una questione, a suo dire, che va oltre il fatto che un impianto industriale sia o non sia “green”, ma che investe una dimensione più vasta di tutela del territorio e del paesaggio dagli insediamenti umani e industriali in particolare. Se il proposito di Danieli è quello di spiegare ai propri azionisti, ha affermato alla stampa locale, «sarà mia cura organizzare una visita sul territorio, usciremo in barca in Laguna e spiegheremo a tutti, ancora una volta, perché questo territorio ha detto no.[…] Se non fosse così chiaro, ed è assolutamente lecito, a chi amministra una società multinazionale che magari a Marano ed in Laguna non c’è mai stato, volgo un invito alla dirigenza del gruppo di Buttrio e agli azionisti che vogliano capire meglio le ragioni che ci hanno spinto verso queste azioni di dissenso». Va ricordato infatti che le problematiche sollevate non riguardavano tanto le emissioni dell’impianto (che non avrebbero costituito un problema dal punto di vista ambientale), quanto la necessità di dragaggi per consentire alle navi di arrivare all’acciaieria, di nuove strade e altre infrastrutture per garantire l’operatività dello stabilimento, e più in generale dell’impatto sul paesaggio in una zona a forte vocazione turistica; e in cui anche la prospettiva dei posti di lavoro creati da una grossa azienda può non apparire sufficientemente “allettante” a fronte di quelli potenzialmente persi nel turismo, nella pesca e nei rispettivi indotti.
La vicenda, insomma, pare non essere finita; ed è indicatrice, al di là del merito della questione, di come sarà poi necessario ricostruire la fiducia tra i grandi gruppi industriali – ricordiamo l’ancora irrisolto caso Ilva, per citarne soltanto uno – e le popolazioni delle zone interessate, nel tenere insieme le ragioni dell’economia, del lavoro e dell’ambiente. Si attende quindi ora la pronuncia del Tar.