No alla norma anti-pirateria per i due italiani

La Corte suprema indiana esclude che i marò possano essere giudicati in base al "Sua act", che prevede condanne fino alla pena di morte. Ma chiede di formulare i capi d'accusa all'unità anti-terrorismo della polizia
Rientro in Italia dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

Questa volta la notizia è uscita in prima pagina con foto a due colonne. Il titolo cubitale recita: «I marines non saranno processati secondo la legge anti-pirateria». In effetti la stampa indiana, che aveva sempre snobbato la questione dei marò, se non nei giorni immediatamente successivi all’uccisione dei due pescatori del Kerala, riporta con grande rilievo la novità di questo processo che sembra non aver fine. Fino ad oggi il processo non aveva potuto aver inizio e la decisione della Corte suprema di New Delhi sembra ora aprire scenari relativamente più incoraggianti per gli italiani. Ma è necessario essere cauti, molto cauti.

Da un punto di vista interno alla macchina burocratica indiana, pare aver avuto la meglio la posizione del ministero della Giustizia, che sosteneva che la normativa anti-pirateria non poteva essere applicata nel caso dei due militari italiani. Nei giorni scorsi, invece, il ministero della Difesa, per bocca del ministro Antony, un consumato politico proprio dello Stato del Kerala, aveva ribadito che non sarebbero stati fatti sconti ai due italiani, anche se militari impegnati nella lotta contro i pirati che infestano l’Oceano indiano e il Mare Arabico. Ora pare che i marines potrebbero essere incriminati in base al codice penale indiano.

Il fatto di escludere l’applicabilità della famosa legislazione detta "Sua act", che prevede condanne fino alla pena di morte, non significa comunque che il caso sia risolto. La Corte suprema ha, infatti, indirizzato una richiesta all’unità anti-terrorismo della polizia, nota come Nia. E l’avvocato della difesa Mukul Rohatgi ha rilevato in tale decisione un’incongruenza di principio, che ha portato al ventisettesimo rinvio nella storia della vicenda. Solo in quella sede, si spera, si potrà conoscere la decisione dell’ordine supremo della giustizia indiana riguardo l’organo competente per la pronuncia dei capi d’accusa, che restano ancora da formulare. A tale udienza dovrebbe far seguito un’ulteriore settimana di tempo per permettere all’accusa di definire la sua linea d’azione.

In Italia, a decisione della Corte suprema indiana non ha fatto desistere alcuni manifestanti del Nuovo Centrodestra che hanno inscenato un sit-in in via XX Settembre davanti all’Ambasciata dell'India a Roma. La stampa indiana mette in evidenza come la sede della rappresentanza del Paese asiatico a Roma abbia ricevuto minacce anonime con tanto di proiettile in busta.

Da parte italiana, il governo Renzi sta mettendo a punto una sua linea d’azione per garantire, come suggerito da più parti, a seguito anche dalla recente politica dell’ormai ex ministro Bonino, un appoggio internazionale. Infatti, se da un lato è difficile capire come uno Stato democratico come l’India sia arrivato a ventisette rinvii da parte dei suoi organi di giustizia sui due cittadini italiani, dall’altro è altrettanto problematico considerare credibile un Paese che, da quando è scoppiato il contenzioso marò, è arrivato al suo terzo ministro degli Esteri.

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