No alla guerra

Papa Francesco nel suo intervento al convegno “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, che si è tenuto a Roma il 10 novembre, con la presenza di premi Nobel, associazioni della società civile, ambasciatori, esperti, ha dato particolare rilievo non solo dell’uso delle armi nucleari, ma anche del possesso    

Lo aveva preannunciato nel suo intervento all’Angelus la domenica precedente. Ha preparato le sue parole nella preghiera dei morti, di tutti i morti, visitando il cimitero americano di Anzio, e le Fosse Ardeatine e ponendo in quel contesto la memoria delle vittime di Hiroshima.

Bisogna anche ricordare i giorni della tensione tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, dove il pericolo nucleare appare in tutta la sua forza.

Papa Giovanni XXIII per primo pone la questione della guerra nel tempo nucleare: scrive la Pacem in terris al cuore della crisi di Cuba, quando tutto sembrava precipitare verso il conflitto russo-americano, al punto che il presidente americano chiede ai suoi collaboratori il numero probabile di morti. E la risposta parlò di oltre un miliardo di morti, una cifra ancora più terribile di oggi.

Papa Giovanni non consegna una dottrina o dei principi, ma uno sguardo di pace, che sia in grado di accogliere il dolore e la sofferenza dei popoli.

Ed è Papa Giovanni che pone la questione della legittimità  e della possibilità di una guerra nucleare ed afferma nella sua enciclica: «È irrazionale pensare (alienum est ratione) che nell’eta atomica la guerra possa essere considerata come strumento per risarcire i diritti violati».

In questo modo la guerra nucleare viene messa radicalmente in questione. Il potenziale distruttivo della guerra atomica la rende impossibile. Nel tempo dell’atomica viene come cancellato l’impianto della teologia della guerra, con i suoi tre criteri: l’autorità che la convoca, la proporzionalità e il giusto motivo.

Si esce dalla antica teologia e ci si avvia sul sentiero della pace, che rifiuta la guerra con il suo potere immenso di morte.

Bisogna dire che la Gaudium et spes non valorizza la parola di Papa Giovanni, citandola solo in nota e rimanendo prigioniera di una antica dottrina, che viene meno all’ambizione del Concilio di affrontare la guerra con una “mentalità nuova”.

Il numero 79 ci consegna l’impianto: «Sebbene le recenti guerre abbiano apportato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno, in alcuni luoghi della terra, la guerra continua a produrre la sua devastazione. Anzi, quando in essa si fa uso di ogni arma scientifica, la sua indole atroce minaccia di condurre i contendenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati».

Si afferma un pessimismo che imprigiona: «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione e fin tanto che esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa».

Ci si àncora alla corsa agli armamenti, che diventano la cifra del secondo dopoguerra: «Le armi scientifiche è vero che non vengono accumulate con l’unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra …. poiché, infatti, si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda dalla possibilità fulminea  di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo inconsueta, a dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni. Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è la via sicura per conservare saldamente la pace». (GS 81-82).

Si scende come uno scalino, passando dalla forza teologica e profetica della Pacem in terris al Concilio, ripetendo fiaccamente la teologia della guerra, la corsa agli armamenti, la legittima difesa. Il Concilio ha come uno sprazzo, con la condanna della guerra totale, la guerra le cui vittime non sono più i soldati, ma i civili innocenti. La sospensione di giudizio sulla corsa degli armamenti lascia sgomenti per la fragilità del suo giudizio. Interi episcopati e non solo il Concilio rimangono prigionieri di questa cultura della guerra.

Ci sono testate nucleari sul nostro territorio nazionale, a indicare come tutto è complicato, e come è difficile uscire dalla cultura delle guerra. Siamo coinvolti in processi che sono gestiti da grandi Paesi, con sistemi militari industrializzati, che sono fuori dal nostro controllo e di quello di tutti i cittadini.

Oggi nove Paesi hanno le armi nucleari ed esistono circa quindicimila testate nucleari, pronte all’uso, nel mondo. Un numero devastante e imponente, di cui appare come parabola la questione tra Nord Corea e America.

La corsa agli armamenti è senza fine, con imponenti risorse. Pensiamo a quello che è accaduto nell’area del Medio Oriente, dove gli Stati Uniti hanno venduto armi ad Israele e all’Arabia Saudita in dimensioni quasi illimitate.

Papa Francesco pone come un discrimine, una linea di separazione: una condanna netta e irrevocabile non solo dell’uso di questo tipo di armamenti, ma anche del possesso: «Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza  è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano».

Il Papa apprezza che «attraverso una storica votazione in sede Onu, la maggior parte dei membri della comunità internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali, ma devono considerarsi un illegittimo strumento di guerra».

Si sta aprendo un nuovo orizzonte, che impone un cambiamento di cultura e di epoca: non solo l’uso, ma anche il possesso di questo tipo di armi viene cancellato dalla coscienza pubblica e civile dell’umanità .

Nella sua semplicità, torna attuale il versetto di Mt. 26: «Chi prende la spada di spada perirà» e qui l’evangelista indica il gesto semplice del prendere in mano, che rivela la piena partecipazione alla cultura delle armi e della morte.

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