No al ricordo dei medici criminali nazisti
Sindrome di Caucois-Eppinger-Frugoni, artrite di Reiter, sindrome di Hallervorden-Spatz e reazione Spatz-Stiefler, sono solo alcuni esempi di malattie o indagini diagnostiche che ancora oggi in tutto il mondo vengono studiate dagli studenti di medicina e usate per identificare patologie o test che portano il nome di medici nazisti riconosciuti come criminali di guerra.
Carnefici che condussero esperimenti spesso tanto inutili per la loro validità quanto efferati, e che portarono alla morte di migliaia e migliaia di deportati nei campi di concentramento. Cavie umane ancora vive dovettero subire contro la propria volontà torture e mutilazioni, spesso inconsapevoli di quanto stesse davvero accadendo.
Per questo motivo la comunità ebraica di Roma, assieme a un comitato scientifico formato da medici e studiosi, e con il supporto dell'università La Sapienza, intende rendere giustizia a quanto accaduto in quegli anni. L'obiettivo è al tempo stesso chiaro e ambizioso: cancellare per sempre dai testi di medicina i nomi dei medici nazisti – riconosciuti come criminali di guerra –, tra i quali Josef Mengele è solo il più tristemente noto.
«Le ricerche condotte da quei ricercatori e medici – spiega Cesare Efrati, dell'ospedale Israelitico di Roma –, prevedevano già in sé la morte delle persone usate per gli esperimenti. Uno dei test condotti, ad esempio, intendeva stabilire quanto tempo un corpo potesse resiste in acqua a basse temperatura prima che sopragiungesse la morte. Lo scopo dichiarato era verificare se valesse la pena recuperare i corpi dei piloti tedeschi caduti in mare. Un altro esperimento fu condotto su giovani donne e ragazze alle quali veniva iniettato in utero una sostanza che bruciava il loro apparato riproduttivo».
A distanza di decenni, ci si chiede se è davvero necessario rendere ancora “omaggio” a quei carnefici e se quegli esperimenti avessero o meno sia validità scientifica sia una sorta di giustificazione per il benessere la comunità.
«Alcuni di quegli studi erano mascherati da fini militari – commenta ancora Efrati –, e hanno davvero poca credibilità e validità. Nel caso dello studio dell'ipossia, ad esempio, è evidente a tutti che non si possono comparare i risultati ottenuti considerando che le cavie erano i detenuti di un campo di un concentramento, persone le cui le condizioni fisiche erano davvero precarie. Se si pensa alla loro struttura fisica e al loro stato di salute generale è palese che non si potessero paragonare a quelle di un soldato tedesco».
Da qui la battaglia civile della comunità ebraica. «Oltre anon dimenticare quello che è stato (i nomi vengano pure ricordati, ma sui libri di storia), vogliamo sollecitare la comunità scientifica a domandarsi da dove provengono i dati, come sono stati ottenuti, per poi sostituire i nomi di questi criminali con quelli di altri scienziati che portarono un grande contributo alla medicina di allora e morirono nei campi di concentramento».
Riccardo Pacifici, presidente uscente della comunità ebraica di Roma, sottolinea: «Parliamo di una vicenda incredibile di criminali nazisti che in nome della medicina hanno usato le loro vittime. La storia poco conosciuta è che alcune di quelle ricerche effettuate “grazie” a esperimenti su esseri umani hanno dato la notorietà ad alcuni di questi pseudo medici, criminali nazisti, e portano il loro nome. Grazie all'università La Sapienza, che si è fatta promotrice di questa campagna, intendiamo chiedere alla comunità scientifica internazionale di abolire quei nomi affinché cadano nell'oblio gli apparenti meriti e invece rimangano perpetui nella memoria i loro crimini. Quelle malattie portino invece i nomi delle vittime».
Un’azione che vuole anche ringraziare quanti – medici, ricercatori e studiosi –, «oggi con grande fatica inseguono nuove scoperte nel campo della medicina e della scienza, per il benessere di tutti, nel rispetto delle regole dell'etica e del giuramento di Ippocrate. Soprattutto nel rispetto della persona e della dignità umana», conclude Pacifici.
Forse dopo la condanna della giustizia e della storia, occorrerebbe anche quella di tutta la società civile per non dimenticare.