No al divorzio breve (verbale)

Un verdetto storico: accolta la petizione di 50 mila donne musulmane contro la legge matrimoniale che le lascia in balia del volere dei rispettivi mariti. Si può divorziare anche via posta prioritaria o tramite Whatsapp
Donne indiane musulmane

Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la decisione della Corte Suprema Indiana che con una sentenza documentata da 395 pagine di note e spiegazioni ha sospeso la pratica del cosiddetto ‘triplo talaq’, noto anche come il ‘divorzio breve’ o ‘divorzio immediato’ musulmano. Il divorzio da triplo talaq è “antislamico, arbitrario e incostituzionale” hanno sentenziato i giudici.

Per inquadrare la questione è necessario ricordare che la legislazione indiana prevede diverse leggi che regolamentano l’atto matrimoniale, secondo la religione di appartenenza. Per capirci esistono un Hindu Marriage Act, a cui si devono adeguare coloro che contraggono matrimonio secondo la religione indù, un Muslim Marriage Act per i musulmani, un Christian Marriage Act per i cristiani.

La separazione di queste diverse leggi risale ancora al periodo coloniale. Nello specifico quella che regolamenta il matrimonio secondo la religione musulmana risale al 1937 con il Muslim Personal Law (Shariat) Application Act 1937, ma è stata mantenuta sia pure con novità e aggiornamenti secondo il diritto anglosassone che procede per precedenti. Una sentenza, costituisce un precedente a cui un giudice potrà riferirsi per una futura decisione in merito ad una data questione.

Quella che è stata approvata dalla Corte Suprema con tre pareri favorevoli e due contrari si riferisce ad una petizione firmata nel giugno del 2016 da 50 mila donne musulmane in India che lamentano forti discriminazioni, per via che agli uomini è concesso il diritto di divorziare dalle proprie mogli attraverso la semplice pronuncia della parola “talaq” – “ripudio” – ripetuta per tre volte. Tale possibilità lascia le donne in balia del volere dei rispettivi mariti. La richiesta presentata lo scorso anno era supportata dal parere di diversi studiosi che denunciavano la pratica come discriminatoria nei confronti della donna.

La proposta di chiedere l’incostituzionalità del ‘talaq’ era nata dal movimento Bhartiya Muslim Mahila Andolan (Bmma), associazione di donne mussulmane di tutta l’India con l’appoggio della Commissione nazionale delle donne (Ncw). È da notare che il ‘talaq’ è ancora vigente in India, dove i musulmani sono una minoranza (il 14%) di fronte alla stragrande maggioranza degli indù (78%), mentre è già stata abolita in Paesi islamici vicini, come Pakistan e Bangladesh.

Approvata con l’intento di garantire il rispetto della tradizione culturale islamica, con gli anni la legge ha consentito di “giustificare” pratiche discriminatorie. Le musulmane hanno denunciato un vero e proprio abuso del divorzio verbale, che spesso è attuato anche “a distanza” con l’invio di messaggi sul cellulare o per posta. Il caso che aveva costituito un vero scandalo nazionale era quello di Afreen Rehman, 25 anni, ripudiata dal marito con una lettera spedita per posta prioritaria. Ci sono, poi, i casi di donne, i cui racconti riempiono le pagine dei social network, tra cui si è diffusa la “fobia del divorzio tramite Whatsapp”. In generale, una donna islamica su 11 aveva subito il divorzio istantaneo, senza ricevere alimenti o compensazioni dall’ex marito.

La discussione è durata a lungo perché i giudici, pur ritenendo il sistema islamico “discriminatorio”, hanno affermato che l’obbligo di legiferare spetta al Parlamento. Alla notizia della decisione della Corte Suprema di dichiarare ‘anticostituzionale’ questa pratica, le donne musulmane hanno espresso grande apprezzamento. Questo non abbrevia comunque i tempi della battaglia che resta ancora aperta. Infatti, ora il Parlamento indiano è chiamato a definire una legge che regoli il diritto matrimoniale della comunità musulmana. Farah Faiz, presidente del Rashtrawadi Muslim Mahila Sangh, ha subito dichiarato: «Saremo davvero vittoriose solo quando una legge dirà che la pratica [del divorzio breve] può essere punita. Non ci sarà sollievo per le donne fin tanto che non sarà formulata una vera norma».

Indubbiamente, tuttavia, come sottolinea l’avvocato del gruppo, la dott.ssa Chandra Rajan, si tratta «di un verdetto storico. La Corte suprema non poteva fare di meglio. Ha protetto tutte le donne musulmane».

In pratica gli uomini musulmani sono interdetti nei prossimi sei mesi dal praticare il ‘ripudio’ tramite il divorzio breve con la pronuncia di ‘talaq’ per tre volte consecutive. Alcuni gruppi di musulmani nel grande Paese asiatico – in particolare il All India Muslim Personal Law Board – hanno già da tempo riconosciuto la questione ed invitato a ostracizzare dalle rispettive comunità coloro che pronunciano il ‘talaq breve’.

Sulla questione si è espresso anche il premier Narendra Modi che ha affermato che il verdetto della massima autorità legale del Paese rappresenta uno «strumento potente per l’empowerment femminile». Modi aveva inserito nella sua campagna elettorale la questione del ‘triplo talaq’, una mossa interpretata dai suoi avversari come un’abile scelta per conquistare l’elettorato delle donne musulmane.

Sebbene si debba ora attendere l’opera del Parlamento per la redazione di una legge conforme alla decisione della Corte Suprema resta il fatto che il momento è storico per donne musulmane in India «Siamo molto felici, abbiamo vinto. È un giorno storico. Noi, le donne musulmane, fino ad ora eravamo prive di una legge che difendesse i nostri diritti nel matrimonio e nella famiglia», ha detto l’attivista Zakia Soman, del gruppo Bharatiya Muslim Mahila Andolan.

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