No ad abusi e truffe sul web, c’è la nuova legge per i servizi digitali

È entrato in vigore il Digital Services Act che tutela cittadini e imprese in Europa nel mondo digitale.
UE
L'Unione Europea nelle bandiere dei suoi Stati membri(Foto: Pixabay)

I servizi digitali sono divenuti una componente essenziale nella nostra vita, rendendola più facile in modi diversi: comunichiamo, facciamo acquisti, ordiniamo cibo, cerchiamo informazioni, guardiamo film e ascoltiamo musica. Inoltre, i servizi digitali hanno reso più facile per le imprese commerciare oltre frontiera e accedere a nuovi mercati.

Se è vero che ci sono molti vantaggi con la trasformazione digitale, è altrettanto vero che essa apre nuove sfide e presenta nuovi problemi. Ad esempio il commercio e lo scambio di beni, di servizi e di contenuti illegali online. I servizi online vengono anche utilizzati in modo improprio da sistemi algoritmici manipolativi per amplificare la diffusione della disinformazione e per altri scopi dannosi. Queste sfide e il modo in cui le piattaforme le affrontano hanno un impatto significativo sui diritti fondamentali online.

Ecco che l’Unione europea (Ue) ha adottato il cosiddetto Digital Services Act, un quadro giuridico moderno che garantisce la sicurezza degli utenti online, stabilisce la governance con la protezione dei diritti fondamentali e mantiene un sistema di piattaforme online equo e aperto. Infatti, alcune grandi piattaforme controllano significativi ecosistemi nell’economia digitale ed emergono come gatekeeper nei mercati digitali, con il potere di agire come una sorta di governatori privati che talvolta impongono pratiche sleali per le imprese che utilizzano tali piattaforme e una minore scelta per i consumatori.

Le nuove norme del Digital Services Act, includono misure per contrastare beni, servizi o contenuti illeciti online, come un meccanismo per consentire agli utenti di segnalare tali contenuti e alle piattaforme di collaborare con segnalatori attendibili; nuovi obblighi in materia di tracciabilità degli utenti commerciali nei mercati online, per contribuire a identificare i venditori di merci illegali, oppure sforzi ragionevoli da parte dei mercati online per verificare in modo casuale se prodotti o servizi siano stati identificati come illegali in qualsiasi banca dati ufficiale; delle garanzie efficaci per gli utenti, compresa la possibilità di contestare le decisioni prese dalle piattaforme in merito alla moderazione dei contenuti; il divieto di determinati tipi di messaggi pubblicitari mirati sulle piattaforme online (quando si rivolgono a minori o quando utilizzano categorie particolari di dati personali, quali l’etnia, le opinioni politiche, l’orientamento sessuale); misure di trasparenza per le piattaforme online su vari aspetti, compresi gli algoritmi utilizzati per i suggerimenti; l’obbligo per le piattaforme e i motori di ricerca di grandi dimensioni di prevenire qualsiasi abuso dei loro sistemi adottando interventi basati sul rischio e sottoponendo le proprie attività di gestione del rischio ad audit indipendenti; l’accesso dei ricercatori ai dati chiave delle piattaforme e dei motori di ricerca più grandi per capire l’evoluzione dei rischi online; una struttura di vigilanza che rifletta la complessità dello spazio online: i paesi dell’UE svolgeranno il ruolo principale, sostenuti da un nuovo comitato europeo per i servizi digitali; per le piattaforme di grandissime dimensioni, la Commissione interverrà per garantire la vigilanza e l’applicazione delle norme.

Inoltre, la nuova normativa sui servizi digitali migliora notevolmente i meccanismi per la rimozione dei contenuti illegali e per l’efficace tutela dei diritti fondamentali degli utenti online, compresa la libertà di parola. Crea inoltre un maggiore controllo pubblico sulle piattaforme online, specie per quelle che raggiungono oltre il 10% della popolazione dell’Ue. Nello specifico, le piattaforme online erano tenute a pubblicare il loro numero di utenti attivi entro il 17 febbraio 2023. Se la piattaforma o un motore di ricerca ha più di 45 milioni di utenti (10% della popolazione in Europa), la Commissione europea designerà il servizio come una piattaforma online di dimensioni molto grandi o un motore di ricerca online di dimensioni molto grandi. Tali servizi avranno 4 mesi di tempo per conformarsi agli obblighi del Digital Services Act, che comprende l’esecuzione e la fornitura alla Commissione europea della loro prima valutazione annuale dei rischi.

Gli Stati membri dell’Ue dovranno nominare coordinatori dei servizi digitali entro il 17 febbraio 2024, quando anche le piattaforme con meno di 45 milioni di utenti attivi dovranno rispettare tutte le norme previste dal Digital Services Act. Per l’applicazione del Digital Services Act la Commissione europea ha anche inaugurato a Siviglia, in Spagna, il Centro Europeo per la Trasparenza Algoritmica.

Attualmente, il nuovo regolamento europeo si applica a 19 piattaforme online (Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, Twitter X, LinkedIn, Pinterest, YouTube, Booking.com, Amazon, Zalando, Google Shopping, Alibaba, AliExpress, Apple App Store e Google Play, Google Maps e Wikipedia) e a due motori di ricerca (Google e Bing).

Secondo Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla concorrenza e a un’Europa pronta per l’era digitale, l’idea di fondo del Digital Services Act è che «le piattaforme servano i cittadini e non il contrario, e che un forte ecosistema di soggetti digitali, anche europeo, possa svilupparsi e impegnarsi in tutti i settori dell’economia», facendo sì che «ciò che è illegale offline è illegale anche online nell’Unione Europea». Vestager osserva che tutta la regolamentazione relativa ai servizi digitali è forte e ambiziosa. Nello specifico, «consente la tutela dei diritti degli utenti online, mentre la legge sui mercati digitali crea mercati online equi e aperti».

Il nuovo regolamento sui servizi digitali si è reso necessario dato che il regolamento generale sulla protezione dei dati (GPDR), che protegge i diritti alla privacy dei cittadini europei, non è riuscito a frenare potenziali abusi, soprattutto perché le norme sulla protezione dei dati demandavano ai singoli Stati membri il potere esclusivo di far rispettare le regole, cosa che non tutti hanno fatto in modo corretto.

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