Nino Rota e la sua musica
“Ho avuto il privilegio di conoscere e di lavorare con Nino Rota in più di un’occasione – afferma Luis Bacalov, musicista vincitore del Premio Oscar per la colonna sonora del film Il postino – e sono orgoglioso di aver inciso alcuni suoi pezzi musicali. Nino, infatti, era un uomo estremamente cordiale e metteva a proprio agio le persone che avevano a che fare con lui pur lavorando in un ambiente come quello della musica e del cinema dove la competizione, la rivalità e la gelosia sono all’ordine del giorno. Al contrario, era generoso e non parlava mai male di nessuno. Un giorno mi presentò a Fellini e, davanti a lui, non risparmiò parole di elogio nei miei confronti, tanto che il regista successivamente mi chiamò per scrivere la colonna sonora di un film”. Come viene evidenziato nel libro L’undicesima musa. Nino Rota e i suoi media, un’altra grande dote del maestro era l’umiltà con la quale si metteva a disposizione degli altri e riusciva a contentare tutti, il regista, gli interpreti, la produzione, il pubblico. Nel saggio di Giorgio Mangini egli stesso racconta che, quando Lina Wertmüller gli commissionò 50 canzoni per il film televisivo Gian Burrasca (tra cui la famosa Pappa col pomodoro), i funzionari della Rai, la Pavone e la casa discografica gli esposero ciascuno le proprie esigenze: lui, tenendone conto e riuscendo a soddisfarle un po’ alla volta, provò una grande gioia e, giorno dopo giorno, il suo divertimento aumentò. E non è solo nella parola umiltà ma anche nell’impegno e nella capacità di adattamento a ogni costrizione, interferenza e imprevisto che risiede il segreto del felice rapporto della creatività di Rota con la musica cinematografica. Tra il 1933 e il 1979, anno di Prova d’orchestra e della sua scomparsa, Rota compose ben 150 colonne sonore per il cinema e la televisione. Nei primi vent’anni partecipò alla realizzazione, in media, di cinque film all’anno, toccando la punta massima di sedici nel 1953, per poi diminuire il ritmo a due film l’anno. Per lui la musica cinematografica non era un genere inferiore, tanto che in un’intervista del ’71 dichiarò “Non la considero una seconda attività perché, di fatto, ne ha tratto vantaggio il mio stesso sviluppo psicologico e anche quello musicale ”. Nelle sue colonne sonore Rota ha usato numerose canzoni d’autore del repertorio italiano e internazionale, e canti popolari di tradizione, come ad esempio ne La grande guerra di Monicelli, dove ha inserito rigorosamente canti alpini dell’epoca, tutti ben conosciuti. Per la prima parte del film Roma di Fellini, dove è rievocata la città d’anteguerra, il maestro ha composto una scena musicale con le canzoni del repertorio romanesco mentre nella seconda parte, dove la città moderna è rappresentata dal carosello notturno dei motociclisti e dalla sarabanda indiavolata alla festa “De noantri” a Trastevere, fa sentire le stesse canzoni a pezzi, lacerate, confuse tra il chiasso e le grida della folla. Nonostante l’uso di brani musicali altrui, nel libro viene riconosciuto a Rota un candore poetico che lo porta “ad ereditare per non possedere”, ad essere “lavorato da forze e soggetti estranei e a fungere essenzialmente da luogo di risonanza delle alterità”. Viene perciò riconosciuta ingiusta la denuncia per plagio che Rota ricevette quando uscì la colonna sonora del film La dolce vita, perché riproponeva il celebre tema del Moritat Quanti denti ha il pescecane dell’Opera da Tre soldi di Brecht-Weill. Il maestro, invece, aveva un grande scrupolo professionale e sempre denunciava alla Siae le musiche imprestate da altri, come si ricava dal documento della colonna sonora di Roma riportato nel libro a testimonianza della sua profonda onestà. Nel saggio di Roberto Calabretto, invece, si rivendica il diritto di Rota a comparire nei titoli di testa del film Senso di Luchino Visconti. Infatti, nonostante la colonna sonora sia tutta tratta da due movimenti della Settima Sinfonia di Bruckner, il maestro riuscì ad unire, ricombinare e sviluppare le melodie bruckneriane senza manometterle in alcun modo. E questo lavoro di metro e forbici lo poteva fare solo un grande musicista che conosceva ed era capace di padroneggiare benissimo il materiale sinfonico. Ultima, ma non unica, chicca contenuta nel libro è la testimonianza diretta di Fellini di come avveniva la sintonizzazione tra lui e Rota quando doveva scrivere una colonna sonora: “Io mi mettevo lì presso il piano, a raccontargli il film, a suggerirgli come questa o quell’immagine avrebbero dovuto essere commentate musicalmente; ma lui non mi seguiva, si distraeva, pur se annuiva . In realtà stava stabilendo il contatto con sé stesso, con il suo mondo interno, con i motivi musicali che già aveva dentro di sé. Le sue ore più creative erano quelle che seguivano il tramonto, dalle cinque o le sei alle nove Improvvisamente, nel mezzo del discorso, metteva le mani sul pianoforte e partiva, come un medium, come un vero artista Quando si destava io gli dicevo “È bellissimo!”. Ma lui mi rispondeva: “Non me lo ricordo già più”. Erano delle catastrofi, alle quali in seguito facemmo fronte con i registratori. Ma bisognava metterli in azione senza che se ne accorgesse, altrimenti il contatto con la sfera celeste si interrompeva ”. Nato nel 1911 a Milano,ebbe la prima pubblica esecuzione di una sua opera,L’infanzia di san Giovanni Battista, nel 1923. Figlio d’arte, con la madre pianista e il nonno compositore. Nel 1931 vinse una borsa di studio presso il Curtis Institute di Philadelphia e venne accolto da Toscanini. Non concluse gli studi in America ma ottenne comunque il diploma “in absentia”. Nel 1933 scrisse la sua prima colonna sonora per il film Treno popolare di Raffaele Matarazzo.Nel ’36 si laureò in Lettere e vinse la cattedra presso il liceo musicale di Taranto e poi divenne direttore del conservatorio di Bari. Dal ’42 al ’52 lavorò con registi come Lina Wertmüller, Monicelli,Visconti e Fellini, dimostrando una creatività e una capacità di lavoro che hanno dell’incredibile. Nel ’48 andò a Londra dove compose la sua prima colonna sonora di produzione britannica e venne a contatto con le più avanzate tecniche di registrazione. Nel ’60, insieme con il librettista Riccardo Bacchelli, vinse il Prix Italia, organizzato dalla Radio italiana, per un’opera teatrale dal titolo La notte di un nevrastenico. Da ricordare quella che è forse il suo capolavoro, l’opera Il cappello di paglia di Firenze.