Nigeria: la raffineria Dangote in difficoltà?

Inaugurata in pompa magna nel maggio 2023 e operativa da gennaio 2024, la mega raffineria Dangote, impianto di punta del miliardario nigeriano Aliko Dangote, che si propone compensare la dipendenza di carburanti della Nigeria dalle importazioni occidentali, ha prodotto finora solo poco più di 300 mila barili al giorno invece dei 650 mila previsti. La raffineria Dangote rimane comunque un'alternativa alla dipendenza della Nigeria dall'Occidente in termini di raffinazione del greggio nigeriano. Tuttavia, gli affari dell’uomo più ricco del continente devono affrontare diversi problemi…
Aliko Dangote, CEO di Dangote Industries Limited con Deputy Secretary-General of the United Nations Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite durante l’Ibrahim Forum a Nairobi, Kenya, 29 aprile 2023. ANSA/DANIEL IRUNGU
Aliko Dangote, CEO di Dangote Industries Limited con Deputy Secretary-General of the United Nations Amina Mohammed, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite durante l’Ibrahim Forum a Nairobi, Kenya, 29 aprile 2023. ANSA/DANIEL IRUNGU

La raffineria Dangote è costretta a ricorrere all’importazione di greggio, a causa delle forniture insufficienti consegnate dalla compagnia petrolifera nigeriana, la Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc). La raffineria ha ricevuto solo 5 carichi di greggio dalla Nnpc da quando ha iniziato la produzione all’inizio dell’anno, invece dei 15 previsti.

Inizialmente si diceva che il governo nigeriano, attraverso la Nnpc, avrebbe controllato una quota del 20% della raffineria. Ma secondo quanto dichiarato da Aliko Dangote a metà luglio, «la Nnpc non possiede più il 20% della raffineria Dangote… ne possiede solo il 7,2%». Ciò spiega perché la Nnpc non è pronta a pagare il saldo della sua quota di partecipazione, che avrebbe dovuto versare nel giugno di quest’anno, e anche dopo un mese di proroga, non lo ha ancora fatto.

La raffineria ha spiegato che le compagnie petrolifere internazionali (Ioc) non accettano di vendere loro il petrolio greggio in Nigeria, o lo vendono a un prezzo superiore a quello ufficiale fissato dalla Nigerian Upstream Petroleum Regulatory Commission.

Il mese scorso, la raffineria Dangote ha affermato che le major petrolifere stavano bloccando il suo accesso al greggio nigeriano e che l’ente regolatore stava consentendo ai commercianti di carburante di importare diesel ad alto contenuto di zolfo, danneggiando così la raffineria nigeriana.

Di fronte a questa scarsità di materia prima accessibile, Dangote si sta rivolgendo ad altri paesi africani, in particolare a Senegal e Angola, per garantirsi l’approvvigionamento.

Nel frattempo, la Nigerian Midstream and Downstream Petroleum Regulatory Authority sostiene che la qualità del diesel prodotto dalla raffineria Dangote è scarsa, inferiore a quella del diesel importato. Ma Dangote ha negato le accuse domenica 21 luglio, affermando che il suo diesel è il più pulito del mercato nigeriano.

Da tutto questo, Aliko Dangote non ha esitato ad affermare l’esistenza di una «mafia» nel settore petrolifero, che considera «peggiore di quella della droga». Queste accuse rivelano la portata degli interessi in gioco e la resistenza al cambiamento in un settore vitale per l’economia nigeriana.

Un’altra preoccupazione sono le multinazionali. Infatti, in un intervento dello scorso giugno, Devakumar Edwin, vicepresidente responsabile del petrolio e del gas della Dangote Industries Limited, ha accusato le compagnie petrolifere internazionali attive in Nigeria di ostacolare gli sforzi della raffineria del gruppo di ottenere petrolio greggio a livello locale.

Devakumar ha denunciato in particolare una tattica di sabotaggio da parte di queste multinazionali che consiste nel gonfiare artificialmente il prezzo del greggio locale rispetto ai prezzi di mercato. Una manovra che, secondo lui, costringe la raffineria Dangote a importare greggio da altrove, in questo caso dagli Stati Uniti, per limitare i costi di esercizio.

Secondo Devakumar, le compagnie petrolifere internazionali stanno lavorando per mantenere la Nigeria in uno status quo caratterizzato dalla continua dipendenza del paese da prodotti petroliferi importati. Una situazione che avvantaggia i paesi che ospitano queste multinazionali a scapito degli interessi della Nigeria.

Fortunatamente, lunedì 12 agosto scorso il presidente nigeriano Bola Tinubu ha firmato un ordine esecutivo che impone alla compagnia petrolifera nazionale Nnpc di vendere petrolio greggio in naira, la valuta locale, alla Dangote e ad altre raffinerie nazionali emergenti.

La mossa mira a stabilizzare i prezzi alla pompa dei carburanti raffinati e il tasso di cambio dollaro-naira. Se la raffineria riuscisse a superare le difficoltà iniziali, potrebbe generare migliaia di posti di lavoro, stimolare l’economia locale e migliorare la bilancia commerciale del Paese. Il successo di questo progetto invierebbe un segnale forte ai potenziali investitori, dimostrando la capacità della Nigeria di realizzare progetti industriali di livello mondiale.

Aliko Dangote ha annunciato il 20 luglio che la sua raffineria di petrolio prevede di raggiungere l’85% della sua capacità produttiva entro la fine dell’anno in corso, ovvero un livello di 550 mila barili al giorno (bpd).

«La raffineria, che opera a circa il 50% della sua capacità totale di 650 mila barili al giorno, intende iniziare a produrre benzina a partire da agosto, cosa che aumenterà la sua capacità», ha detto durante una visita all’impianto situato nella periferia di Lagos .

La Nigeria, nonostante sia uno dei maggiori produttori di greggio in Africa, fa ancora affidamento sull’importazione di tutti i prodotti petroliferi raffinati, come il Premium Motor Spirit (Pms) che le persone utilizzano come carburante, cherosene, diesel e carburante per aerei. Il petrolio greggio nigeriano viene raffinato in Europa e poi importato ad un prezzo molto più elevato, creando una bilancia commerciale negativa, un deprezzamento della naira e un aumento dell’inflazione.

L’importazione di derivati petroliferi di ogni tipo in Nigeria costa al paese più di 28 miliardi di dollari l’anno e potrebbe raggiungere i 30 miliardi di dollari entro il 2027 se la situazione persiste.

Il paese attualmente produce 1,7 milioni di barili di greggio al giorno, ma può raffinarne solo circa 6 mila al giorno, secondo i dati forniti a settembre 2023 dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio. Di conseguenza, la Nigeria importa oltre l’80% del petrolio greggio i suoi prodotti raffinati perché le sue quattro raffinerie statali, con una capacità complessiva di 445 mila barili al giorno, non sono operative. L’Angola, che è il secondo produttore africano di petrolio greggio, con una sola raffineria funzionante, importa ancora circa l’80% della sua domanda locale di prodotti petroliferi raffinati.

Entrambe queste situazioni sono in netto contrasto con altri paesi produttori di petrolio africani, come la Libia, che nonostante l’instabilità politica, può soddisfare il 60% del suo fabbisogno di raffinazione locale, e l’Algeria, che ha la seconda maggiore capacità di raffinazione in Africa dopo l’Egitto.

Il governo nigeriano ha quattro raffinerie – due a Port Harcourt, una a Kaduna e una a Warri – ma non funzionano, quindi la gente pensa che la raffineria Dangote li salverà da questa situazione.

Secondo diversi rapporti, il fallimento delle raffinerie statali della Nigeria è stato attribuito alla corruzione, alla cattiva gestione, all’invecchiamento e alla scarsa manutenzione delle infrastrutture, che le hanno lasciate continuamente operative ben al di sotto della loro capacità. La situazione è la stessa nel vicino Ghana, dove le raffinerie statali hanno fallito, provocando «una perdita stimata di migliaia di potenziali posti di lavoro, opportunità economiche e sicurezza energetica» per le principali economie dell’Africa occidentale.

Il progetto titanico della raffineria Dangote è costata all’uomo d’affari nigeriano qualcosa come 20 miliardi di dollari. Più che un’infrastruttura industriale, la megaraffineria mira a soddisfare pienamente il fabbisogno di carburanti del paese più popoloso dell’Africa e persino ad esportarlo nel continente. Se potesse funzionare a pieno regime.

 

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