Nigeria, la quiete dopo le violenze

Sembrano essersi placati gli scontri che hanno portato a oltre cinquecento morti dopo le elezioni presidenziali. Ma il Paese rimane diviso
Elezioni in Nigeria

Sono da ieri in corso le elezioni dei governatori in 24 dei 36 Stati della Nigeria. Per quanto la situazione sia ora più tranquilla, dopo gli scontri seguiti alle presidenziali del 16 aprile – che hanno lasciato dietro di sé oltre cinquecento morti – nei 12 Stati rimanenti l’appuntamento con i seggi è stato rinviato, per timore che le violenze possano riesplodere. I risultati dovrebbero essere noti nelle prossime 48 ore, ma – ci riferiscono i nostri corrispondenti sul posto – i singoli Stati sono relativamente omogenei dal punto di vista etnico e religioso, per cui il pericolo che il responso delle urne si traduca in ulteriori disordini è minore. Ma che cosa ha portato a tanta violenza? Cerchiamo di capirlo, grazie a contatti locali che, per ovvi motivi, manteniamo nell’anonimato.

 

Com’è la situazione al momento, dopo i fatti seguiti alle elezioni del 16 aprile?

«Qui è tornata la calma, ma bisogna considerare che ci troviamo al Sud del Paese, mentre gli scontri sono avvenuti soprattutto al Nord. La Nigeria è divisa in due, sia dal punto di vista etnico che religioso: il Nord è a maggioranza housa, musulmani, mentre il Sud cristiano è un mosaico di diverse etnie. L’elezione del presidente Goodluck Jonathan, un cristiano, ha provocato l’ondata di violenze nella parte settentrionale del Paese».

 

Risulta però difficile credere che basti l’elezione di un candidato non gradito a provocare cinquecento morti, a meno che non ci siano altre questioni…

«La divisione del Paese è una realtà da molto tempo, non solo dal punto di vista etnico e religioso, ma anche storico e della distribuzione delle risorse: il petrolio, ad esempio, si trova al Sud. L’elezione di un presidente cristiano sta esasperando questa frattura, perché il Nord teme di trovarsi ulteriormente svantaggiato. Oltretutto, esiste una consuetudine secondo cui si alterna un presidente cristiano ad uno musulmano, il quale sceglie poi un vice della parte opposta: questa volta, però, è uscito vincitore alle urne il vice del presidente precedente, che era morto dopo un periodo di governo molto breve. Per cui i musulmani hanno sentito “negato” il loro, per così dire, “turno di presidenza”. Bisogna poi aggiungere il peso della corruzione, che è stato molto alto nelle tornate elettorali precedenti: così, quando il candidato musulmano ha dichiarato di non accettare i risultati elettorali a causa di brogli avvenuti al Sud, la gente ha reagito subito, per quanto secondo gli osservatori internazionali le elezioni si siano svolte in maniera regolare».

 

Tra la popolazione, c’è chi sta cercando di contrastare le violenze?

«Siamo in contatto con alcune persone di Jos, una delle città più colpite dagli incidenti, che fanno quello che possono ospitando nelle proprie case le persone dell’etnia o della religione diversa, spesso salvando loro la vita. Anche qui al Sud, sebbene in misura minore, i musulmani sono stati attaccati: abbiamo saputo di una signora che ha avvertito uno di loro, un commerciante, dell’arrivo dei militari, consentendogli di fuggire in tempo. La stessa donna ha poi messo al sicuro in casa le sue merci, così che potrà riprendere la sua attività una volta che le condizioni saranno più sicure»

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