Niente morti ma quanti danni!

Visitando alcuni centri tra quelli più colpiti dai recenti sommovimenti tellurici dell’Appennino laziale, umbro e marchigiano si tocca con mano la violenza del sisma e gli enormi danni alla vita della gente. Tolentino per cominciare
Tolentino_MicheleZanzucchi

Ogni volta che visito i luoghi di un terremoto – il primo reportage della mia professione giornalistica lo feci proprio da Sant’Angelo dei Lombardi nel 1980 – resto sgomento. Sì, bisogna fotografare e scrivere, ma la distruzione delle cose e delle persone non può lasciare indifferenti. «Il cinico non è fatto per il mestiere di reporter», diceva il grande giornalista polacco Ryszard Kapuscinski. Così è anche stavolta, anche se i morti non ci sono stati qui nei luoghi della scossa del 30 ottobre. Ma i danni sono enormi, alle cose e ancor più alle persone. Ascolto (cercando di non far domande sceme, come purtroppo ascoltiamo spesso in tv), scrivo (senza accentuare le espressioni raccolte), fotografo (chiedendo sempre l’autorizzazione a chi voglio fotografare). Anche il giornalismo ha una sua etica. Che oggi deve raccontare bene, accuratamente, per evitare che le evitate morti fisiche non si tramutino in tante morti civili dopo il terremoto.

 

Con l’amico Silvio Minnetti, dirigente scolastico di Tolentino, si entra subito in materia visitando uno dei cinque centri di prima accoglienza della cittadina marchigiana, situata in una palestra antisismica. È mattina presto, viene distribuita la colazione, mentre non poche persone ancora dormono nell’ampio locale. 200 posti sarebbero quelli disponibili, ci sono 260 persone e diventeranno circa 300. In attesa dei letti da campo, gli sfollati dormono su lettini da spiaggia arrivati da Porto Sant’Elpidio. «Le case dichiarate inagibili aumentano di ora in ora – mi spiega Ivano Lucchesi, da Chiesina Uzzanese, responsabile per la Protezione civile dell’accoglienza –. La gente arriva con la psicosi del terremoto, col terrore negli occhi. Poche case sono crollate a Tolentino, si contano sulle dita di una mano, ma un’altissima percentuale è lesionata e inabitabile». Lucchesi organizza la vita del campo che non è semplice, anche perché qui si sono riuniti tutti coloro che non hanno nulla, non hanno altri parenti, una casa al mare, un luogo di accoglienza. Gli immigrati sono tanti, anche perché a Tolentino abitano il centro storico, il più danneggiato. Così si serve dei più capaci, come Danea, macedone, che ha preso la responsabilità della pulizia dei bagni, tre volte al giorno. «Stanno arrivando anche le docce», mi spiega con orgoglio.

 

Il parroco della chiesa di San Catervo, don Gianni, facciata neoclassica e struttura ben più antica, mi indica, ad una ad una, le crepe che hanno costretto a chiudere il luogo di culto. Ce ne sono alcune assai ramificate sull’abside, la parte più antica della costruzione. E un portale medievale, appena finito di restaurare, è già danneggiato di nuovo. «Se arriva un’altra scossa tra il 6° e il 7° grado qui casca tutto». E così la chiesa di San Francesco, le cui catene metalliche si sono rotte, mentre si attende di far i necessari controlli nella Basilica di San Nicola, patrimonio Unesco, che giace immota, calcinacci qua e là, fessure evidenti sulla facciata, sperando che i magnifici cicli di affreschi che racchiude non abbiano subito danni.

 

In Piazza della Liberta, quella del Comune e di San Francesco, transennata e con le pareti pericolosamente bombate, ci sono sotto dei gazebo improvvisati gli uffici comunali e della protezione civile, che ricevono le richieste di aiuto di abitanti e commercianti. Ci dicono che più della metà degli edifici della città sono danneggiati gravemente. Il sole splende, fa fresco, si conversa a gruppetti, argomento sempre e solo il sisma. Fausto Pezzanesi è assessore ai Servizi sociali. «Pochi crolli evidenti, danni ingentissimi. È questa la realtà del nostro territorio comunale, in particolare in una curiosa faglia che passa dal centro della città alle vie Vittorio Veneto e Trento e Trieste, dove abbiamo dovuto evacuare dei condomini degli anni Cinquanta che paiono più deboli.

 

Il sindaco Giuseppe Pezzanesi passa da un luogo all’altro della città per controllare, rincuorare, assistere, far sentire vicine le istituzioni: «Abbiamo privilegiato la cura degli abitanti alla cura delle opere d’arte. Ce ne occuperemo, ma per prima cosa dobbiamo assicurare alle nostre famiglie un’assistenza adeguata. Intanto abbiamo esteso la zona rossa inaccessibile, il centro è quasi tutto transennato. Gli sfollati aumentano: abbiamo preso in cura 400 persone prima del 30 ottobre e 1200 dopo la grande scossa. Ma migliaia di altre persone sono sfollate di loro iniziativa soprattutto verso la costa, in tutto 10 mila: 2 mila alloggiano in camper o nelle auto in zone approntate per l’occasione. Lamentiamo, purtroppo, la mancanza di ispettori capaci di stabilire se un’abitazione è abitabile o meno. La città sembra quasi integra a un primo sguardo, ma le case nascondono quasi sempre lesioni gravi o gravissime». Per il futuro il sindaco si augura che la macchina della ricostruzione accompagni la popolazione passo passo. Siamo in attesa, tra l’altro, di capire se Tolentino è considerato dal governo un comune sinistrato, a cui destinare fondi statali. Speriamo proprio di sì».

 

Come Tolentino, anche altri centri della zona sono stati gravemente danneggiati, anche se l’attenzione mediatica è inesistente, perché i giornalisti tendono a recarsi nei luoghi dell’epicentro. Tra questi merita una menzione San Severino, dove la percentuale di sfollati è simile a quella di Tolentino, così come i danni. Al solito, la protezione civile, i volontari di tutti i tipi, la buona volontà della gente porta a trovare soluzione ai tanti problemi del post-terremoto. Ma bisogna mantenere l’attenzione ben alta, per evitare che questo terremoto riceva meno attenzione di altri semplicemente perché non ci sono stati morti fisici. Il rischio è che tante siano le piccole o grandi morti civili post-terremoto.

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