Niente funerali ai condannati per mafia
Coraggioso il gesto di mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale ed ex rettore della Facoltà teologica siciliana che il 20 giugno scorso ha promulgato il “decreto di privazione delle esequie ecclesiastiche per chi è stato condannato per reati di mafia”. Il documento riprende una parte dell’omelia che Giovanni Paolo II fece nella Valle dei Templi il 9 maggio 1993.
“La fede (…) esige non solo un’intima adesione personale, ma anche una coraggiosa testimonianza esteriore, che si esprime in una convinta condanna del male. Essa esige qui, nella vostra terra, una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità delle persone e della convivenza civile”.
“Faccio i miei complimenti al Vescovo di Acireale», ha detto il ministro Cancellieri intervenendo alla presentazione del libro di Raspanti “Cultura della legalità e società multireligiosa” nell’ambito dell’incontro “conversazioni sulla legalità” tenutosi proprio ad Acireale a fine giugno. E ha continuato: «Soprattutto per il coraggio che ha avuto nel fare questo atto che ha tantissime valenze, prima di tutto simbolica, perché non dimentichiamo che la mafia si combatte molto con i simboli, la mafia ha bisogno di simboli perché a volte un simbolo vale più di tante altre cose. Può essere un continuo monito sapere che se sei un affiliato, non avrai le esequie religiose. Credo che anche l’uomo più belva ci rifletta su queste cose, o magari le mogli, i figli, questo atto fa almeno nascere il germe del dubbio».
Il martirio di don Puglisi, il lungo cammino della Chiesa siciliana mi sembra ben espresso nel decreto di Raspanti che è da considerare una naturale confluenza di anni di passioni, dolori e profezie. Il 3 aprile del 1994, ad esempio, la Conferenza episcopale siciliana affermava: «A riguardo della mafia, in quanto distorto complesso di falsi valori e dunque, prima ancora che per il suo nefasto potenziale di delinquenza e antisocialità, è nostro dovere ribadire la denuncia, altre volte espressa, circa la sua assoluta incompatibilità con il Vangelo».[1]
Ma ancora, nel 1996, la Conferenza Episcopale siciliana affermava: «la mafia costituisce la piaga sociale più vergognosa della Sicilia, La mafia con il suo strapotere, con la tragica teoria dei suoi morti ammazzati e dei suoi nefandi delitti, umilia, mortifica e danneggia la nostra terra, corrode i gangli essenziali della sua vita sociale e politica».[2]
Insomma non un decreto che spunta dal niente, una “cattedrale nel deserto”, quanto piuttosto la naturale conseguenza di un cammino, non sempre facile, che le Chiese siciliane hanno svolto in questi anni. Già nel luglio del 2012 l'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro aveva negato i funerali a Giuseppe Lo Mascolo, considerato il nuovo boss mafioso di Siculiana paese dell'agrigentino. Una preghiera e la benedizione della salma, ma niente esequie.
Qualcuno ha detto che il decreto è più un atto simbolico che con concrete conseguenze. Non sono d’accordo. La mafia ha sempre giocato appunto sui simboli e proprio sui simboli della fede. Ed è per questo che ha saputo infiltrarsi nei gangli più vivi dei credenti. Il decreto di Raspanti va proprio in questa direzione: l'incompatibilità del Vangelo con la mafia e con i mafiosi.
«La letteratura – ha detto ancora il ministro Cancellieri – è ricca di storie di mafiosi che portavano il santino nel portafogli. Ecco, i mafiosi non devono tenerne perché devono capire che non hanno nulla a che fare con loro. Se poi i mafiosi, sceglieranno la via del perdono la Chiesa darà loro l’ascolto dovuto. Ma bisogna far crescere la cultura della legalità e questo spetta alla Chiesa, allo Stato e a tutti noi”.
«Questo decreto – dice monsignor Antonino Raspanti – è nella tradizione di tutto quello che la Chiesa siciliana, i miei confratelli vescovi, anche quella italiana, già da parecchi decenni hanno fatto, lavorando e sensibilizzando di concerto con la società civile. Io ho voluto solo mettere una conseguenza che è nella logica delle cose, non è una vera e propria innovazione di ciò che la Chiesa ha pensato negli ultimi decenni. Probabilmente l'applicazione in questo territorio è un po' più innovativa. Vorrei che ci fosse una netta distinzione e chiarezza tra chi appartiene a una organizzazione e chi appartiene alla Chiesa: le due cose sono inconciliabili, è questo il senso».
Ribadire l’inconciliabilità e incompatibilità tra vita cristiana e appartenenza alla mafia, può sembrare ripetitivo e ridondante. Invece aiuta a valorizzare sempre meglio la scelta della cultura della legalità, ed aiuta la crescita della comunità ecclesiale ma anche della comunità civile.
[1] Orientamenti pastorali per le Chiese di Sicilia “Nuova evangelizzazione e pastorale”.
[2] Documento “Finché non sorga come stella la sua giustizia” Conferenza episcopale siciliana 15 maggio 1996.