Niente ferma Sanremo
Anche quest’anno, niente è riuscito a fermarlo. Neppure la campagna elettorale più virulenta del secolo, neppure l’imminenza del Conclave più anomalo della storia. «Perché Sanremo è Sanremo», si sarebbe detto negli anni belli.
C’è un che di misterioso e fors’anche di miracoloso a verificare il modo in cui certi riti continuano a resistere, incuranti di ogni cambiamento epocale circostante. Ma bisognerà pur dare atto al Festivalone nostro d’aver provato, mai come quest’anno, d’adeguarsi ai tempi: se non restringendosi, almeno calmierandosi negli eccessi e cercando a riportare il baricentro verso il suo specifico, le canzoni; a cominciare dalla bella pensata d’affidare l’apertura alla verdiana Va Pensiero, in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del genio di Busseto: un capolavoro che per altro intriga le masse nazional-popolari da oltre 170 anni.
E allora anche noi apriamo il sorvolo, partendo dalla prima sfornata di canzoni (quest’anno addirittura due a testa per i cosiddetti big) e duellanti. A giudicare da quanto ascoltato finora, la qualità c’è e si sente. Fazio e Pagani han scovato materia prima interessante pur senza snaturare la formula di quell’ecumenismo stilistico che da decenni caratterizza le portate sfilate sul palcoscenico più ambito e periglioso d’Italia. In particolare credo valga la pena segnalare il simpatico e dotatissimo Raphel Gualazzi (due canzoni non semplici, ma di gran classe), il redivivo Daniele Silvestri (la sua folkeggiante A bocca chiusa ha tutto ciò che serve per diventare un classico e al contempo per catturare l’inquietudine giovanile di questo scampolo di decennio); e poi l’esibizione di Marta Sui Tubi, probabilmente l’anomalia più vistosa e gustosa di questa edizione (anche se personalmente avrei preferito che a proseguire fosse la più incisiva Dispari).
Piacevole e divertente l’accoppiata swingante Cincotti & Molinari, mentre la più vicina ai cliché sanremesi è parsa l’offerta della recente vincitrice di X Factor, la giovanissima Chiara Galliazzo (anche in questo caso avrei preferito il brano scartato da pubblico e critica). Degli altri gareggianti c’è ben poco da dire; viceversa è da segnalare l’ospitata di Cutugno che ha regalato un’appassionata e perfino appassionante riproposizione dell’immortale Sono un italiano, accompagnato per l’occasione dalla nostalgica grandeur del Coro dell’Armata Rossa.
La prima puntata ha avuto i suoi intoppi, a cominciare dall’impasse creato ad arte da qualche scalmanato che ha rischiato di far saltare l’esibizione, più attesa, quella di Maurizio Crozza: fischi contro fischi per qualche minuto, e poi tutto ha ripreso il suo corso fra gli applausi. Con un Fazio perfettamente a suo agio nel suo ruolo di garbato maestro di cerimonia, i lampi (non sempre brillantissimi, ma mediamente gustosi) della finta guastatrice Littizzetto, il consueto contorno di provocazioni politico-sociologiche (più morigerate del solito in verità), e una sterminata litania di ospitini di passaggio, raramente utili a insaporire la serata.
Insomma, bene o male la prima è andata, e a confermarlo c’è anche il verdetto degli ascolti e degli share (media di 13 milioni di spettatori con punte di 17). A risentirci domattina.