Nicaragua: il vescovo Álvarez condannato dal regime
Tra giovedì e venerdì della settimana scorsa (9-10 febbraio), il capo del regime nicaraguense Daniel Ortega ha espulso e deportato negli Stati Uniti 222 prigionieri politici, dopo che la Corte d’Appello li aveva dichiarati traditori della patria e inibiti dall’esercizio della funzione pubblica. Con una riforma costituzionale ultra-rapida, il Parlamento nicaraguense ha stabilito per i “traditori della patria” la perdita della cittadinanza.
I deportati sono stati ricevuti dalle autorità di Washington con un permesso umanitario di residenza e lavoro. Anche il governo di Madrid ha offerto agli ora apolidi la cittadinanza spagnola. Chi tra gli espulsi ha rilasciato dichiarazioni alla stampa ha riferito di trattamenti degradanti e violazioni dei diritti umani subiti durante la prigionia. I deportati hanno conosciuto la destinazione del volo solo una volta a bordo dell’aereo, dove hanno firmato il loro consenso. L’alternativa era il ritorno in carcere, dove restano almeno 14 dissidenti politici.
«Oggi è un gran giorno nella lotta per la libertà del Nicaragua, perché sono usciti di prigione tanti prigionieri ingiustamente condannati o processati. Da prigioni in cui non avrebbero mai dovuto entrare. Vanno in esilio, ma in libertà». Così ha commentato su twitter Sergio Ramírez Mercado, vicepresidente della Repubblica del Nicaragua durante il primo mandato di Ortega (1985-1990), oggi esiliato in Spagna.
Tra i liberati si contano i principali candidati alla presidenza della Repubblica delle elezioni 2021, accusati di organizzare un colpo di Stato, altri politici di spicco, tra cui ex ministri o stretti collaboratori del presidente poi dissociatisi, noti leader studenteschi, tre sacerdoti, due seminaristi, un diacono e un laico della diocesi di Matagalpa.
Il loro vescovo, Rolando Álvarez, ha invece rifiutato di abbandonare il Paese ed è stato per questo trasferito in un carcere comune (era ai domiciliari) e condannato, in giornata, a 26 anni di reclusione e alla perdita dei diritti politici e della cittadinanza.
Gli espulsi erano stati incarcerati in seguito alle proteste popolari del 2018, iniziate per chiedere l’abolizione della riforma delle pensioni e poi, in seguito alla violenta repressione delle forze dell’ordine, per reclamare le dimissioni del presidente Ortega, un ex guerrigliero che governa dal 2007, in un clima di crescente disprezzo per i diritti civili, che ha portato al pressoché completo annientamento dell’opposizione tramite arresto o esilio forzato. Tra loro si contano difensori dei diritti umani, leader sociali, impresari, intellettuali, dissidenti sandinisti. E membri della Chiesa cattolica.
Alcuni, come mons. Álvarez e i suoi collaboratori, sarebbero rei di aver accolto nella cattedrale manifestanti feriti in fuga, o di aver diffuso via social messaggi di denuncia contro abusi di potere o violenze o di facilitare i soccorsi a vittime della repressione. Le accuse: cospirazione, crimini contro la patria, cyberterrorismo.
Nell’intervento in diretta televisiva nazionale in cui ha spiegato l’accaduto, Ortega ha affermato che la decisione è stata unilaterale: «Non abbiamo chiesto nulla in cambio» alle autorità statunitensi (dato confermato da fonti Usa), alludendo alle voci di negoziati per la sospensione delle sanzioni economiche e politiche verso il Nicaragua. La vicepresidente e moglie di Ortega, Rosario Murillo, avrebbe telefonato all’ambasciatore americano a Managua per chiedere se il suo governo fosse disposto a ricevere gli esiliati. Ortega si è detto soddisfatto del fatto che, grazie a queste espulsioni, il Nicaragua è ora libero da «golpisti», «terroristi» e «mercenari».
Cosa c’è dietro a questa «liberazione in massa», quasi senza precedenti – secondo l’espressione di Arturo McFields Yescas, ex ambasciatore del Nicaragua presso l’Organizzazione degli Stati Americani ?
Da una parte, il governo degli Stati Uniti ha esercitato una notevole pressione diplomatica, anche attraverso pesanti sanzioni verso centinaia di funzionari governativi, tra i quali la vicepresidente Murillo, con blocchi bancari e l’embargo alle importazioni di oro, settore economico fondamentale nella bilancia commerciale fra i due Paesi. E l’influenza economica statunitense in Nicaragua è ancora forte, dato che gli Usa sono di gran lunga il primo partner commerciale del Paese centramericano.
Anche la pressione di organizzazioni per i diritti umani e di governi di altri Paesi avrebbe influito sulla decisione. «Credo che [i governanti del Nicaragua] si stiano rendendo conto che non possono vivere nell’isolamento nel quale si sono cacciati, e che la pressione internazionale per la libertà dei prigionieri politici cominciava a danneggiare i loro rapporti con l’America Latina», ha dichiarato la scrittrice nicaraguense Gioconda Belli a Bbc Mondo.
Sul fronte interno, Daniel Ortega non pare per nulla intenzionato ad una qualche apertura democratica. Dopo le elezioni 2021 di dubbia regolarità e con un’astensione record (secondo l’opposizione si sarebbe astenuto dal voto circa l’80 % degli aventi diritto), la sua popolarità è ai minimi storici (il 62 % della popolazione ne disapprova la gestione, in base all’ultimo sondaggio Gallup).
L’attività della stampa indipendente è ai minimi termini, dopo una serie di chiusure di media e gli arresti di operatori della comunicazione. L’opposizione è quasi interamente in esilio. La Chiesa cattolica ha subito centinaia di aggressioni, oltre alle menzionate incarcerazioni e misure come l’espulsione delle Missionarie della Carità di Santa Teresa di Calcutta.
Papa Francesco si è riferito ai fatti recenti dopo l’Angelus di domenica 12 febbraio in piazza San Pietro: «Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti». Il papa ha poi aggiunto: «Domandiamo inoltre al Signore di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo».
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