Nicaragua, tutto pronto per beffare la democrazia
Niente potrà garantire la legittimità delle elezioni che il prossimo 7 novembre si svolgeranno in Nicaragua. Il governo dell’ex rivoluzionario sandinista, Daniel Ortega, ha messo agli arresti praticamente tutta l’opposizione, accusata in modo generico di cospirare contro la sicurezza nazionale. Solo negli ultimi mesi sono stati neutralizzati così oltre 30 esponenti politici non grati alla famiglia Ortega, che ormai non nasconde – né può farlo – la sua intenzione di perpetuarsi al potere.
Tra gli arrestati figura anche Cristiana Chamorro Barrios, figlia della ex presidente Violeta Chamorro, messa in manette prima di potersi registrare come candidata alla presidenza. Difficilmente i votanti potranno avere una versione dell’informazione che non sia addomesticata, visto che i mezzi di informazione che non sono sottomessi al regime sono stati bloccati. Non sono garantite né trasparenza né pluralismo in queste elezioni che sanno più di farsa che di atto legittimo di espressione della volontà popolare.
Ortega è tornato alla presidenza nel 2007, consolidando via via il suo potere, condiviso sempre più solo con sua moglie, Rosario Murillo, che ha scalzato senza nessuna considerazione anche figure rilevanti della vecchia guardia sandinista, che oggi osservano delusi e disincantati l’ascesa di questa Lady Macbeth centroamericana. Nel 2016 il presidente decise di elevare il rango della moglie da una sorta di superministra a vicepresidente. Ma lunedì scorso è andato oltre, presentandola come co- presidente, in coerenza – a suo dire – con un poco credibile modello di uguaglianza di genere. “Rispettiamo il principio di metà e metà”, ha affermato il presidente incurante del fatto che la costituzione, da lui riformata nel 2014, non preveda tale figura. Ma il rispetto delle istituzioni costituzionali pare sia l’ultima preoccupazione di questa famiglia.
Il messaggio di lunedì scorso sembrava più diretto a stabilire una linea di successione istituzionale, nel caso che, data l’età, il presidente dovesse venire a mancare. Ma la scelta indica anche che il circolo di persone di fiducia attorno alla coppia al potere è sempre più ristretto, al punto da ricorrere al nepotismo in alcuni posti chiave.
Dal 2018 in avanti, il Paese è caduto in una stretta violenta, dopo che le riforme economiche prospettate dal governo suscitarono l’irritazione e le proteste degli studenti e della società civile. La repressione della polizia è costata più di 300 morti ed un numero incalcolabile di violazioni dei diritti umani, come conferma la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh, è la sigla in spagnolo) nel suo recente dossier. Fu proprio Murillo, secondo alcune e-mail filtrate alla stampa internazionale, a sostenere la repressione violenta con la consegna: “Il tutto per tutto”.
In una intervista alla Bbc, Antonia Urrejola, presidente della Cidh – che fa parte del sistema interamericano che comprende anche l’Organizzazione degli stati americani (Osa) e la Corte interamericana dei diritti umani –, ha sostenuto che “siamo di fronte ad una progressiva erosione di tutte le salvaguardie democratiche, con concentrazione del potere e l’indebolimento dell’istituzionalità democratica, ed un contesto di repressione che non garantisce elezioni libere, giuste e pluraliste”. Nel dossier, senza mezzi termini, la Cidh sostiene che in Nicaragua esiste “un regime di soppressione di tutte le libertà”.
Seguendo una strategia simile a quella adottata dal presidente venezuelano Maduro, tre anni, fa dopo le manifestazioni di protesta, Ortega ha accennato ad aprire un dialogo con la società civile e l’opposizione, per poi fare marcia indietro, rimangiandosi gli impegni assunti anche di fronte alla Chiesa, che ha tentato di mediare tra le parti, ma senza risultati.
Nessuno prenderà sul serio i risultati della settimana prossima, se non il regime che annuncerà il suo trionfo in una contesa nella quale non c’erano avversari da battere. Tranne la democrazia, che in Nicaragua è stata sconfitta da molto tempo.