Ngolo Kantè: il “calciatore puro” del Chelsea di Abramovich

I media sportivi celebrano il Chelsea campion­e d’Europa, ma a balzare agli onori della cronaca è un mediano dalla storia straordinaria: N’Golo Kantè, il prototipo del “calciatore puro” in un calcio che talvolta necessita di ritrovare “la via dello sport”.
N’Golo Kantè

Se vi fosse una ricerca del Sacro Graal nel calcio per la quale dovessero muovere schiere di “cavalieri” del pallone, probabilmente salirebbe agli onori delle nuove “cronache d’audaci imprese” N’Golo Kantè, il prototipo del “cavaliere puro” del manto erboso. In molti lo scoprono solo ora, dopo il trionfo nella finale di Champions League del ricchissimo Chelsea del magnate russo Roman Abramovich, che rispetto al nostro incipit parrebbe invece un discreto paradosso. Non fosse altro perché il patron dei neocampioni d’Europa, tra storiche accuse di riciclaggio e spese folli, nel 2016 si vide negare la richiesta di residenza a Verbier, villaggio alpino del Canton Vallese, perché secondo la polizia svizzera avrebbe costituito «una minaccia per la sicurezza pubblica e un rischio per la reputazione della Svizzera», con tanto di sospetti di «riciclaggio di denaro sporco e stretti rapporti con la criminalità organizzata».

Ciò che molti non sanno però, è che Kantè, eletto miglior giocatore della finale ed elogiato quale stella del calcio mondiale, rifiutò nel 2018 l’invito della sua nuova società, il Chelsea, di potersi servire come tanti ricchi colleghi strapagati di una compagnia offshore che avrebbe potuto evitargli di versare un’enorme cifra al fisco: Kantè decisè invece di pagare più tasse dei giganti globali Amazon e Starbucks messi insieme, accettando di versare nel tempo 6,7 milioni di sterline. Ne parlammo sulle nostre pagine a novembre dello stesso anno, come un esempio di “straordinaria normalità”, anche perché il ragazzo si era laureato campione del mondo con la Francia quattro mesi prima.

Ma per capire chi sia esattamente questo minuto mediano dai polmoni inesauribili, è necessario tornare ai festeggiamenti parigini del 12 luglio 1998, quando la Francia di Zinedine Zidane alzava al cielo la sua prima storica Coppa del Mondo ai danni di un Brasile più frastornato che competitivo per le ormai celebri convulsioni del “Fenomeno” Ronaldo in albergo di poche ore prima.

Pochi minuti dopo il triplice fischio dell’arbitro, milioni di francesi si riversano per le strade, affollando gli Champs Elysées. In quella marea umana, si muove il nostro piccolo N’Golo: all’epoca ha sette anni, essendo nato il 29 marzo del 1991 da genitori emigrati di origini maliane. È il primogenito in una numerosa famiglia che si è stabilita in un appartamento minuscolo in Rueil Malmaison, zona sub urbana densamente popolata alle porte della capitale francese, abitata per lo più da poveri dediti ai lavori più umili.

Kanté con la nazionale francese durante l’ottavo di finale dei Mondiali 2018 contro l’Argentina (da Wikipedia)

Quella sera, tra cori e fiumi di birra, Ngolo si trova a Parigi non per festeggiare, ma per macinare chilometri raccogliendo rifiuti da rivendere a piccole aziende in cambio di qualche spicciolo, per poter contribuire sin da subito al sostentamento del proprio nucleo familiare. È una notte che, probabilmente, N’Golo non dimenticherà più: la sua nuova nazione in trionfo è un crogiuolo multietnico ove tanti atleti stupefacenti hanno le sue origini.

L’anno successivo entra così a far parte delle giovanili del Suresnes: è uno scricciolo, ma corre e combatte su ogni pallone come pochi e, in nove anni con la società, porta a casa i primi trofei. Solo nel 2010 qualcuno guarda meno al suo fisico e più ai suoi risultati: si trasferisce al Boulogne e, due anni più tardi, esordisce in prima squadra nel Championnat National (terza serie) infilando trentotto partite con le quali merita la chiamata del Caen, in Ligue2 (seconda serie). Lì colleziona altre trentotto apparizioni, contribuendo alla promozione della squadra in Ligue1, per restare un altro anno con la maglia rossoblu, prima di passare nella Premier League inglese tra le fila del Leicester City, squadra allenata dal nostro Claudio Ranieri.

È l’inizio di una favola nella favola, perché Kanté scrive con i nuovi compagni una delle storie più incredibili del calcio moderno: il piccolo Leicester, che l’anno prima si era salvato all’ultima giornata, si laurea tanto clamorosamente quanto meritatamente campione d’Inghilterra davanti a squadre dai bilanci inarrivabili come Liverpool, Chelsea, Tottenham, Manchester City e Manchester United. L’anno seguente, mister Antonio Conte chiede di non badare a spese affidargli le chiavi del centrocampo del Chelsea e, tanto per cambiare, il ragazzo rivince la Premier League, diventando il secondo giocatore non inglese della storia, dopo Eric Cantona, a vincere per due anni consecutivi con due squadre diverse il campionato inglese.

Il resto è storia nota: mister Didier Deschamps nel 2018 lo convoca per il Mondiale di Russia, dove Kantè è il titolare fisso nel secondo storico trionfo ai mondiali della Francia. Anche se, nella finale, gioca forse la sua unica partita insufficente di sempre: chissà se nella sua testa ripassa quella notte tra i rifiuti di 20 anni prima mentre altri festeggiavano proprio una coppa del mondo francese… Ma al termine della finale 2018, dopo la premiazione, il compagno Steven N’Zonzi si rende conto di come Ngolò sia, come sempre, troppo timido per chiedere ai suoi compagni di poter sollevare il trofeo. Gli consegna così personalmente la Coppa, per una scena diventata storia. Intanto arriva anche una laurea in accounting (una sorta di ragioneria informatica), quindi un’Europa League con un altro tecnico italiano, Maurizio Sarri. Dall’ultimo fine settimana, Kantè è anche detentore della Champions League, eppure anche lì stava per non entrare nelle foto di rito…

Perché apparenze e appariscenze sono roba d’altri: Kantè guida dal 2016 una semplicissima Mini Cooper, peraltro anche abbastanza ammaccata, e solo perché impostagli dalla società per non andare a piedi. Eppure “il 71% della superficie terrestre è coperta dall’acqua. Il resto è coperto da Kanté”, recitava un memorabile tweet del Chelsea di qualche tempo fa; come del resto confermò mister Ranieri quando disse che Kantè avrebbe potuto, un giorno o l’altro, “crossare il pallone per andarlo poi a colpire lui stesso…”, o come in qualche modo fece Mourinho quando, nel bel mezzo della gara, lo fermò e gli chiese: “ma tu non ti fermi proprio mai?” E’ la normalità #OltreLaBarriera di un “calciatore puro” che, in tempi di fantomatiche creatività finanziarie legate ai limiti della comprensione dei più, leggasi SuperLega, ribadisce a chi ha smarrito la via dello sport come, anche per i più piccoli, per vincere anche tra i giganti non servano valanghe di denaro, ma altri valori non in vendita, non misurabili e, soprattutto, non trascurabili.

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