Next l’architettura del futuro

Una grande stanza immersa in una luce bianca. Ne dissolve gli angoli. Separata dall’esterno attraverso uno spazio che funge da filtro, viene illuminata dal basso da 528 tubi fluorescenti incastonati in un pavimento di plexiglas. A causa dell’irradiazione invertita emessa dal suolo, come in un terreno innevato, le ciglia e l’inclinazione naturale della testa non sono più di ostacolo all’irraggiamento luminoso. Stimolando la retina, fa partire un processo a catena che investe tutto l’organismo generando dapprima sensazioni di confusione, disorientamento e poi di euforia e altri stati d’animo ancora. Si chiama Hormonorium la proposta presentata nel padiglione svizzero per un nuovo spazio pubblico decontestualizzato, un luogo fisicochimico che riporta parzialmente il clima delle grandi altitudini al livello del mare. L’idea di uno spazio che vuole intedi ragire con il nostro organismo tanto da modificarne i suoi naturali processi biologici (e quindi di conseguenza modificare il nostro approccio alla tridimensionalità e il nostro modo di abitare l’ambiente) è sicuramente il concetto più evoluto e provocatorio espresso nella ottava mostra internazionale di architettura a Venezia dal titolo Next – ciò che sarà. Curata dall’inglese Deyan Sudijc, la mostra tradisce le aspettative di chi si immaginava di trovare un ulteriore passo avanti sulle premesse della scorsa edizione, tutta giocata sull’interpretazione digitale dello spazio urbano-architettonico. Sono presentati vari progetti dislocati negli spazi dei Giardini, in padiglioni nazionali, e dell’Arsenale: proposte realizzate o da realizzare nei prossimi anni, accompagnate da accuratissimi plastici, rendering e fotomontaggi suddivisi secondo una tematica – abitazione, musei, interscambio, formazione, torri, lavoro, negozi, spettacolo, chiesa e stato, piani urbanistici – che favorisce una lettura più chiara della mostra. Next presenta un futuro più roseo, così sembra, per l’Italia uscita fuori da un certo isolamento, con molti progetti presentati. Primo fra tutti per scenograficità e innovazione tecnologica il palazzo dei congressi di Massimiliano Fuksas a Roma; seguito da Mario Bellini con la biblioteca di Torino, Arata Isozaki con una nuova uscita per gli Uffizi, Gae Aulenti con una fermata della metro di Napoli, in parte già realizzata, attraverso un interessante progetto che ha coinvolto artisti come Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Joseph Kosuth, Mimmo Paladino. La tendenza comune è quella di ricercare una organicità della forma che già da tempo è uscita decisamente fuori dagli schematismi razionalisti, creando spazi sorprendenti, scenografici, ma anche sensoriali. I padiglioni delle nazioni sono allestiti con una forte attenzione a stimolare non solo il senso visivo: i suoni aiutano ad entrare in uno spazio a percepire l’idea che vi è insita; il pavimento “dipinto” completamente nel padiglione spagnolo, o riempito di sabbia o di sale come nel padiglione egiziano, diventa fattore decisamente straniante. I materiali giocano un ruolo fondamentale in questa idea futura di architettura, la trasparenza rende la materia più fluida e libera di creare le forme che spesso nascondono la loro struttura portante. È la naturale continuazione di una ricerca destrutturata dello spazio che è nata nel secolo scorso dalla volontà di concepirlo non come elemento assoluto armonioso che circonda le cose, ma esso stesso come un elemento, al pari di altri, da scomporre e plasmare. La forma in perfetto dialogo con la funzione è stata la strada del razionalismo di Le Corbusier, fino ad arrivare al massimo della sua purezza nei grattacieli di Mies van der Rohe, congelata in contenitori di funzioni. La forma esplode nel dopoguerra come risposta ad un’ideologia razionalista. Gli ultimi venti anni vedono l’affermarsi del decostruttivismo che si riappropria dello spazio scomponendolo senza sottostare a regole precise. La voglia è quella di dare un aspetto scultoreo all’architettura, che diventa sempre meno influenzata da un contesto specifico, ma assume i caratteri propri di una società globalizzata. L’accento è posto sulla “gestualità” espressiva del progettista, che quasi dimentica che quello spazio pensato appartiene alla comunità e influenzerà la vita della gente regolando i loro ritmi. Questa forte individualità il più delle volte non accetta neanche l’influenza di un contesto segnato da eventi di estrema importanza. Un disagio che si avverte nelle proposte per la sistemazione a “Ground zero”. I progetti, assolutamente indifferenti a mantenere il segno di quell’evento, sono torri dalle forme sinuose e squamose come il progetto dello studio Nox, oppure semplici assemblaggi di parallelepipedi squadrati che funzionerebbero allo stesso modo anche in tutt’altro contesto. La tendenza a raggiungere solo uno effetto scenografico a discapito di una poeticità dell’intervento mostra qui tutto il suo limite. Anche il progetto delle City of Towers appare affascinante ma poco convincente: numerose torri progettate riprendono, modificandoli di scala, gli oggetti quotidiani prodotti dal design, ma il risultato è poco interessante se si esclude l’idea di Toyo Ito di inserire alberi a varie altezze della torre. Ma i giardini pensili, non c’erano forse già a Babilonia? Tutt’altro messaggio lancia il padiglione brasiliano, che costruisce delle favelas, o quello israeliano che si presenta solo con una facciata mimetizzata dietro colori militari dalla quale si intravedono immagini di una città in trasformazione e in guerra. La Finlandia col padiglione di Alvar Aalto tradisce le sue origini nordiche per ricreare all’interno una ambientazione africana in cui si inserisce progetto di un centro per le donne in Africa, un’architettura chiara e semplice adeguata all’obiettivo e rispettosa nei confronti della natura. Next è anche una pretesa. Fare previsioni certe sull’indirizzo architettonico del futuro significa fornire una lettura degli eventi e delle trasformazioni culturali oggi in atto nel panorama internazionale. L’architettura espressione della società, della cultura di un’epoca, e la nostra è di fronte complesse problematiche. Il futuro dell’architettura non può delinearsi solo di fronte a dei progetti scelti chiaramente secondo determinati criteri. L’architettura del futuro è contraddittoria. Dovrà trovare risposte emergenze di carattere ambientale e sociale. Dovrà continuare a cogliere le spinte di una ricerca estetica contemporanea, ma rimettendo al centro del dibattito l’uomo. progetti presentati all’Arsenale sono risposte troppo affrettate, che non fanno intravedere alcuna considerazione di fondo.

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