New York, ripercorrendo i luoghi della strage

La Grande Mela, colpita da un nuovo atto terroristico, non si ferma. La popolazione non si è lasciata avvilire dall'attentato, ma si è stretta intorno ai parenti delle vittime. Il racconto dell'attentato: la paura, i soccorsi, la voglia di andare avanti... Dalla nostra corrispondente.
Parenti delle vittime pregano sui luoghi dell'attentato a Manhattan

Ieri sera Chamber Street era ancora transennata. Tutti i maggiori canali televisivi avevano installato una loro postazione per trasmettere in diretta le ultime notizie sull’attacco di Halloween, così i newyorkesi hanno definito l’attentato in cui, martedì pomeriggio, hanno perso la vita 8 persone, travolte da un pick-up guidato da Sayfullo Saipov, un uomo di nazionalità uzbeca che nel nome del Daesh ha colpito Manhattan.

Ora dopo ora emergono particolari del suo piano e della sua vita. Giunto negli Usa attraverso un programma governativo che sorteggia i permessi di soggiorno negli Usa, Saipov dal 2010 ha vagato in vari Stati americani alla ricerca di una nuova vita, di una identità: processo diventato sempre più difficile poiché non trovava un lavoro adeguato alla sua preparazione e alle sue aspirazioni. Autista di furgoni e di taxi con la compagnia Uber: questa è stata la sua principale attività e lo strumento con cui ha voluto seminare la morte, ispirato dagli oltre 2.800 video di propaganda del gruppo islamico ritrovati nel suo cellulare.

All’incrocio con Greenwich Street, i passanti hanno deposto dei mazzi di fiori per i sei amici argentini che avevano deciso di celebrare a New York i trent’anni del loro diploma, e una piccola bandiera belga che ricorda la nazionalità di Anne Laure Decadt. Da qualche ora sono stati identificati anche i due statunitensi: uno viveva nelle vicinanze e l’altro vi lavorava.

Authorities respond near a damaged school bus Tuesday, Oct. 31, 2017, in New York. A motorist drove onto a busy bicycle path near the World Trade Center memorial and struck several people on Tuesday police and witnesses said. (AP Photo/Bebeto Matthews)
(AP Photo/Bebeto Matthews)

Mentre calpesto, assieme a molti altri, la parte della pista ciclabile che nella parte transennata mostra ancora i segni della violenza, la sensazione forte è che sarebbe potuto succedere a chiunque di noi. Stranamente però nessuno si muove con angoscia. Il ritmo di New York non sembra scalfito dalla tragedia. Del resto la prontezza di intervento della polizia, dei vigili del fuoco e degli operatori sanitari ha mostrato che una città apparentemente vulnerabile è in realtà una delle più sicure e accoglienti.

La notte del martedì, quando ancora le notizie sulle ragioni dell’attacco e sui dettagli erano frammentarie, la sfilata di Halloween non è stata annullata. Adulti e bambini in maschera hanno sfilato quasi con orgoglio. Poche ore prima il sindaco Bill De Blasio, in una conferenza stampa aveva dichiarato: «Quest’azione vuole piegare il nostro spirito, ma noi sappiamo che i newyorkesi sono forti e resilienti. La città è stata già provata e i newyorkesi non cedono, di fronte a questi tipi di azioni violente».

E New York non cede neppure alle polemiche presidenziali del suo più illustre cittadino: i tweet di Trump contro la lotteria per la Green Card, le sue minacce di restrizione sulla politica migratoria, la ventilata pena di morte per Saipov, infiammeranno i suoi elettori, ma non i newyorker che con convinzione difendono la diversità della loro città, le sue molteplici identità razziali e religiose, l’apertura e l’accoglienza che l’attentato di Halloween ha voluto scalfire, ma non ha piegato.

La notizia dell’attacco mi ha sorpresa nella biblioteca di Miditown Manhattan durante una lezione su Martin Luther King e i diritti civili. Il mio cellulare e quello dei miei compagni hanno cominciato a vibrare incessantemente: in classe siamo di 18 nazionalità, e in quel momento scopriamo che la paura e l’apprensione per la nostra vita e di chi ci è caro non ha colore né conosce distanze. Sentiamo le sirene e gli elicotteri volare sulle nostre teste, mentre partono Whatsapp e messaggi tranquillizzanti diretti in tutto il mondo.

Attentato a New York
Attentato a New York

Chiamo Ale che vive a pochi passi da Chambers street: sta bene e anche lei è all’università. Quella strada è familiare ad entrambe: l’abbiamo percorsa insieme e ci siamo date appuntamento lì spesso. Dall’angolo abbiamo guardato insieme agli specchi delle torri del World Trade Center. Poi è la volta di Marta, Stefano e degli amici italiani che hanno fatto di New York la loro casa: stanno bene.

E mentre le indagini individuano il foglio con gli appunti in arabo che manifestano le simpatie di Saipov per il Daesh, il mio pensiero va a Tariq, un amico musulmano che incanta chiunque metta piede nella moschea di Harlem dedicata a Malcolm X. So quanto sarà turbato da questa nuova ferita per la comunità islamica e gli assicuro la mia amicizia al di là di tutto.

In metro, di ritorno a casa, tra bimbi in maschera ispanici, arabi, afro-americani e con tratti irlandesi risuonano ancora le parole di Martin Luther King ascoltate durante la lezione. Il suo sogno di vedere seduti al tavolo della fraternità «gli ex-schiavi e gli ex-proprietari di schiavi» e di vedere «oasi di libertà e giustizia» dove oggi bruciano «le fiamme dell’oppressione e dell’ingiustizia» sono una speranza anche per l’oggi, anche in questa città ferita, anche per la nazione ferita da cui viene Saipov e per le tante che la cecità politica ha reso luoghi di sofferenza: la violenza non è moneta vincente e la vita e le scelte di Martin Luther King restano un monito per il suo Paese e per molti altri, e lo sono in fondo per tutti noi.

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