Netta e annunciata vittoria di Giorgia Meloni
Come previsto e prevedibile il voto del 25 settembre ha segnato una netta vittoria del partito di destra guidato da Giorgia Meloni. In molti commenti si parla di terremoto politico ma stavolta la scossa tellurica è stata annunciata con largo anticipo, almeno a partire da luglio, dal giorno successivo la caduta del governo di Mario Draghi. L’esecutivo dell’ex governatore della Bce si è basato su una larga maggioranza d’emergenza che, tuttavia, non poteva avere una visione condivisa come quella che si annuncia con l’imminente governo Meloni.
A sezioni in gran parte scrutinate, Fratelli D’Italia è il primo partito italiano con una percentuale del 26,3% dei votanti alla Camera e al Senato. La coalizione di centro destra nel suo complesso raggiunge il 43,9% con Forza Italia e Lega oltre l’8% e la lista Noi Moderati che non supera l’1% dei voti.
La maggioranza è notevole, ma il conteggio effettivo dei seggi resta ancora definire, e si annuncia ancora più consistente, per effetto del meccanismo della legge elettorale che premia la coalizione in grado di conquistare i collegi uninominali. I numeri finali si conosceranno a bocce ferme.
Nel centro sinistra il Pd si attesta al 19,2%, l’Alleanza Verdi Sinistra totalizza un 3,7%, i radicali di +Europa non raggiungono il 3% e la lista di Di Maio e Tabacci esprime uno 0,6%.
I 5 Stelle guidati da Conte raggiungo il 15,1%, la lista Azione Italia Viva Calenda il 7,8%.
Tra le formazioni minori restano fuori dal Parlamento Italexit (1,9%), Unione popolare (1,4%) e Italia sovrana popolare (1,2%).
La Meloni, che è rimasta fuori dal governo Draghi, ha iniziato immediatamente la campagna elettorale con cartelloni pubblicitari che mettevano in evidenza il suo volto con la scritta “Siamo pronti”. Nel discorso notturno a vittoria conclamata ha detto: «Non siamo a un punto di arrivo, ma di partenza. Da domani dovremo mostrare il nostro valore. È il tempo della responsabilità perché l’Italia ha scelto noi e noi non la tradiremo», ricordando con commozione «chi non c’è più e avrebbe meritato di vedere questa notte».
Fratelli D’Italia è nata formalmente nel 2012, per scissione dal Popolo della Libertà a guida berlusconiana, per esprimere una continuità storica con quelle radici di destra che affondano nel Novecento e precisamente nel Movimento Sociale di Giorgio Almirante.
L’avvicinamento alla guida del Paese parte da molto prima del luglio 2022, con l’attrazione progressiva di certi dirigenti transitati prima da Forza Italia. Ad esempio una figura chiave come Giulio Tremonti, chiamato ora a gestire la complessa partita economica della crisi incombente sull’Italia, è stato ministro dell’Economia e vicepresidente del consiglio di Berlusconi dopo essere passato prima dal Psi e poi dal Patto Segni.
Fratelli d’Italia esprime una visione culturale complessa che cerca di andare oltre le categorie “conservatori e progressisti”. Ad esempio un pensatore di quell’area politica come Marcello Veneziani ha proposto una diversa distinzione tra “liberal e comunitari”. Per addentrarsi nell’universo politico culturale della destra italiana, e quindi di un partito chiamato a dettare la linea dell’Italia in questa difficile congiuntura del Paese, è utile rileggere un testo (“Fascisti immaginari”) scritto da due esponenti intelligenti e ironici di quell’area come Luciano Lanna e Filippo Rossi.
Alcune idee forti di riferimento della linea di governo si possono rintracciare nei contributi della Fondazione Fare Futuro guidata da Adolfo D’Urso nell’imminenza di una vittoria annunciata. L’attuale presidente del Copasir è consapevole della sfida che attende il suo partito, parla di «una legislatura (quella appena finita,ndr), in cui solo Fratelli d’Italia si è sempre collocata alla opposizione, che ci ha lasciato in eredità una situazione preoccupante sul piano sociale ed economico, con migliaia di imprese che hanno chiuso i battenti, la disoccupazione in aumento e un debito pubblico crescente e ormai insostenibile».
D’Urso mette in evidenza la dissoluzione di un fronte progressista diviso, intriso di un «delirante assillo dei cosiddetti diritti individuali», mentre ora l’attenzione deve essere massima nel contrastare «ingressi indesiderati di capitali stranieri nella proprietà di aziende attive nei più vari settori che compongono l’articolato sistema produttivo italiano» per realizzare «una politica industriale che punti a preservare e, se possibile, a rafforzare gli asset strategici del Paese». È evidente in tal senso il diverso parere tra Draghi e FdI sul destino della compagnia aerea Ita.
Sul piano internazionale l’ambasciatore Gabriele Checchia, parla di una prospettiva di «un’“Europa confederale” , rispettosa delle identità nazionali (una sorta di “Europa delle Patrie” di matrice gollista, rivisitata e adattata ai tempi) e basata su valori condivisi che consentano al nostro Continente di ritrovare, infine, quella “identità e missione per l’Europa“ auspicata dal papa emerito Benedetto XVI».
La missione della nuova maggioranza sarà, quindi, non solo di definire i ruoli di governo ma soprattutto dei gangli vitali del tessuto produttivo economico finanziario dell’Italia nonché di quelli diplomatici e dell’informazione pubblica e privata.
La sfida implicita che attende la maggioranza di Meloni sarà quella di non esporsi ad una sorta di commissariamento esterno dei vertici Ue come quello subito dal governo Berlusconi nel 2011. Uno degli argomenti che verrà fatto valere dai suoi avversari sarà sicuramente quello dei diritti civili, considerando la vicinanza della Meloni alla sensibilità politica dell’ungherese Orban e del gruppo di Visegrad nel suo complesso.
Allo stesso tempo la stessa leader di Fratelli d’Italia è la garante di una continuità nella linea atlantista del governo Draghi, decisiva in questa fase del conflitto in corso in Ucraina di fronte a cedimenti, considerati filo putiniani, espresse dai suoi alleati Salvini e Berlusconi. Con il leader leghista in evidente crisi di popolarità e il secondo che dimostra ancora di attrarre consenso personale nonostante la perdita di pezzi importanti di parlamentari e strutture territoriali passate a gruppi concorrenti.
I risultati deludenti del Pd condurranno ad una revisione della leadership di Enrico Letta, probabilmente con un congresso che sarà decisivo per l’identità e la strategia di questo partito passato attraverso numerose crisi e scissioni. La componente rosso verde supera lo sbarramento del 3% ma non decolla nonostante il paracadute offerto dall’alleanza elettorale, e non di governo, con i dem. Bonino non supera il 3% e perde la sfida nel collegio uninominale a Roma dove vince il centro destra anche sul candidato e leader di Azione, Carlo Calenda, che tuttavia può vantare un risultato importante a livello nazionale con la lista messa assieme a Renzi in poco tempo dopo la clamorosa rottura con il Pd, anche se inferiore alle aspettative.
Sorprende la tenuta dei 5Stelle che è forte nel Meridione, primo partito in Campania dove vince con Sergio Costa nel collego uninominale di Napoli di Fuorigrotta lasciando l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio fuori dal Parlamento.
Tra le sfide emblematiche dei collegi uninominali, per capire l’andazzo di queste elezioni, si può citare la vittoria di Isabella Rauti, figlia dell’ideologo del Msi Pino Rauti, sul dem Emanuele Fiano a Sesto San Giovanni, la ex roccaforte rossa in provincia di Milano.
Fallisce l’obiettivo di rappresentare la sinistra-sinistra la lista Unione Popolare, nonostante il sostegno del francese Melenchon e dello spagnolo Iglesias, piazzandosi sotto ItalExiit del giornalista Paragone e poco sopra la lista promossa da Marco Rizzo.
Giorgia Meloni è riuscita, quindi, a conquistare la maggioranza per andare a guidare il governo riuscendo nell’obiettivo finora mancato dalla Le Pen in Francia. È probabile che il risultato italiano sia destinato comunque ad indurre effetti a catena in Europa, dopo la netta affermazione raggiunta già dalla destra in Svezia.
Il malessere del consenso degli italiani si è espresso con la crescita dell’astensione. Si è recato alle urne il 63,91% degli aventi diritto contro il 73% del 2018.
Di sicuro un’incognita che resta aperta riguarda la possibile crescita della conflittualità, soprattutto con settori esclusi dalla rappresentanza parlamentare, su questioni ambientali e sociali considerando la netta presa di posizione della coalizione vincente su temi fortemente divisivi, come la gestione dell’immigrazione e quella delle grandi opere.
Una prova decisiva per la vita democratica del Paese.
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