Nessuno tocchi Milano. Come la città reagisce alla violenza

Costretto tra i fasti della festa inaugurale e i marciapiedi e le vetrine infrante, è rimasto nel cono d’ombra dell’informazione quel movimento di opinione che, in questi anni, ha saputo esprimere pacificamente un’alta capacità di analisi, puntuale tempestiva delle deviazioni del sistema e della corruzione
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La violenza, quella gratuita e improvvisa, lascia sempre attoniti. Anche quando attesa, ha sempre un potere destabilizzante. Quella sferrata a Milano da qualche centinaia di ragazzi ha suscitato sgomento e incredulità. Era prevedibile – accompagna ormai da anni ogni grande evento internazionale – ma ha colpito nel segno, anche stavolta. È una violenza priva di ogni senso, fine a se stessa, senza alcun riferimento ideologico, vuota. Non ha rivendicazione, non ha messaggio, non ha contenuto. Esecrabile lo sarebbe in ogni caso, ma certamente questa vacuità e indifferenza rispetto al senso delle proprie azioni, ha colpito l’immaginario collettivo.

La città ha avuto riflessi pronti e i cittadini scesi in strada per cancellare i danni più evidenti hanno voluto esprimere il proprio sentimento di appartenenza e comunanza, con immediatezza. Per oggi è stata indetta dal Sindaco con l’amministrazione comunale e da una larga parte della società civile una giornata di mobilitazione civica, “Nessuno tocchi Milano”, per condannare ogni violenza e mostrare un volto compatto della città.

L’atto violento, nella forma della guerriglia urbana o dell’atto terroristico, ruba la scena e confonde le acque, polarizza le posizioni, cancella ogni voce di mezzo. Lo sappiamo. È sempre così. In televisione e sulla stampa sono praticamente scomparse le immagini della manifestazione pacifica, delle tante voci che hanno voluto esprimere la propria distanza critica dal modo in cui l’Expo è stato sino ad ora condotto.

È in quel cono d’ombra che dobbiamo guardare.

Quel movimento di opinione che in questi anni ha saputo esprimere un’alta capacità di analisi, puntuale tempestiva delle deviazioni del sistema e della corruzione, è rimasto stretto tra i fasti della festa inaugurale e i marciapiedi e le vetrine infrante. Sono giovani ragazzi, studenti universitari, lavoratori, colleghi delle più varie università milanesi che negli anni hanno osservato, commentato, denunciato in tempo reale le molte irregolarità di processo. Spesso arrivando prima della magistratura e dell’informazione.

Penso ai ragazzi di Expopolis che hanno ricostruito minuziosamente affari, malaffari, interessi sottobanco, che in questi anni non hanno perso un’occasione per dire e dissentire con chiarezza (anche nella forma del gioco). Penso alle associazioni ambientaliste, come Italia Nostra e molte altre, che si sono spese contro la distruzione di suolo agricolo e di parco che la realizzazione di Expo ha generato. Penso all’impegno delle scuole pubbliche per educare i ragazzi alla cultura del cibo e di un’alimentazione sana e che si stanno opponendo alla proposta di portare i ragazzi con lo sconto al Mac Donald di Expo. Una galassia composita di voci che hanno ragioni da vendere, che non si rassegnano allo scarto profondo tra quel che si dice e quello che si fa (Coca Cola e Mac Donald sponsor ufficiali dell’evento sono solo una delle mille incongruità), tra le ragioni dell’economia e i diritti delle persone.

È questa la posizione più difficile da mantenere oggi. È qui che si respira tristezza e scoramento per quanto accaduto. Tre grandi questioni non possono essere eluse:

1. Come continuare a fare critica a un sistema corrotto e che viola le regole, che sperpera denaro pubblico, che vuole parlare ai nostri figli di diritto al cibo mettendo loro in mano patatine e Coca Cola?

2. Come riuscire a comunicare le proprie buone ragioni dentro un sistema duale di informazione, avido di balli in maschera e di sangue e poco interessato ai distinguo e ai perché?

3. Come smarcarsi definitivamente da quelle forme di mobilitazione collettiva, slogan, parole che rischiano di essere sovrapponibili a quelle dei violenti?

Una distinzione e una presa di distanza va compiuta. Non mancano i mezzi, l’ironia, l’intelligenza, per osare linguaggi nuovi. Più le cose sono serie e più serve leggerezza, capacità di rifuggire ogni formula codificata. Il corteo, l’invettiva, la marcetta sono ancora linguaggi in grado di comunicare oltre la cerchia dei già convinti? Più le cose sono serie e più serve capacità politica e di visione. Il capitalismo, osservano gli economisti più accorti, non morirà mai perché risorge sempre usando le parole dei suoi nemici. Oggi a Expo sono i grandi brand multinazionali a parlarci di diritto al cibo e sostenibilità ambientale (ahimè). Non sarà facile spiegare le differenze, discernere tra facili slogan e sostanza, educare al significato delle parole. 

È su questo terreno che dovremo dimostrare di avere più fantasia e determinazione degli altri.

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