Nessuno è più malato di chi crede di esserlo
Nessuno è più irragionevole – e dunque più comico – di un uomo che crede nei medici e nei farmaci al punto da voler essere malato per poter essere curato e “guarito”. Stiamo parlando di una delle più belle commedie che siano mai state scritte, il Malato immaginario, ultima ed estrema (estrema in tutti i sensi dato che l’autore morì dopo averla recitata la sera del 17 febbraio 1763) fra le opere di Molière. Primo interprete della commedia, morì praticamente sulla scena lasciando interrotta la quarta recita, ma impresse anche un sigillo sul grande personaggio col quale s’era misurato dopo esserselo costruito addosso, parzialmente a propria immagine congegnando l’ipocondria come una forma di salute, l’alibi migliore per il vecchio capocomico ormai tentato di morire.
L’inizio della commedia è sempre formidabile con il protagonista, l’ipocondriaco Argan, che si crede malato senza esserlo, seduto sulla sua poltrona intento ai conti di un mese di medicine descrivendo una lunga sequela di purganti emollienti e rigenerativi, con relativi costi, puntigliosamente elencati. E lo fa rapportandosi in scena con un interlocutore invisibile. Argan con mellifluo, infantile vezzo, usa la sua “malattia” per vessare il prossimo e per esercitare prevaricazioni, lusingato solo dagli ipocriti: la moglie opportunista e soprattutto i medici. A tentare di aprirgli gli occhi è il fratello Beraldo. Questi altro non è che il suo doppio – di Argan, la parte lucida; di Molière, lo spirito creativo –, colui che dice la verità sullo stato reale di salute e sui medici truffatori, ridicolizzando l’eccesso di considerazione verso le medicine di cui abusa il degente in questione. La forza d’urto della commedia si concentra tutta nei terrori di Argan – che impegna la sua giornata tra poltrona, lettino, clisteri e salassi – e nelle sue manovre per dare la figlia Angelica, innamorata di Cleante, in sposa a un medico figlio di medico, ancorché idiota. Ma, al giusto momento, fingendosi morto, per consiglio della saggia e invadente servetta Tonina, scopre la sordida avidità della moglie opportunista e i nobili sentimenti della figlia. A quel punto la commedia è conclusa e non occorrerà più inscenare, secondo i piani dell’autore, il conclusivo conferimento della Laurea in medicina al malato professionista. Che si farà medico di sé stesso. Una buona scusa per continuare a vivere.
Prova teatrale per ogni attore di razza, il Malato immaginario ben si addice a Gioele Dix, interprete nell’allestimento di Andrée Ruth Shammah, regista di questa ripresa (del 2015, e ancora in tournée) dello spettacolo che fu un cavallo di battaglia, nel 1982, di Franco Parenti, fondatore insieme a Shammah e a Giovanni Testori, dell’omonimo Teatro milanese, ex Salone Pier Lombardo. Gioele Dix in quella storica edizione interpretava Cleante. Ora è lui, ben calato con grande naturalezza, nei panni di Argan dai toni di depresso. In vestaglia bianca e con una candida cuffia a pizzi siede su una poltrona-rifugio-trono a rotelle al centro della stanza di una scenografia all’insegna della semplicità, definita da pareti di tulle grigie che, in trasparenza, lasciano intravedere tre lampadari, dei corridoi frontali e laterali, e tre uscite.
Visto oggi l’allestimento non ci sembra particolarmente ricco d’inventiva, né di ritmo, anche se procede ugualmente con una buona tenuta. Perché con un testo come questo il divertimento è, in qualche modo, assicurato. Gradevole, scorrevole, qua e là divertente, la messinscena di Shammah ci priva però della grandezza del testo senza offrirci, in cambio, niente di particolarmente suggestivo o di ben definito. Buona, tutto sommato, la resa degli attori, ai quali non manca la contagiosa, irresistibile ilarità che si sprigiona dalle grandi scene comiche: i battibecchi fra Argan e Tonina tessitrice di intrighi benefici; il duetto tra i due luminari Diaforius, padre e figlio; l’anatema scagliato dall’irato medico Purgon contro l’involontaria insubordinazione del malato. A mancare, nel complesso, è quel solido equilibrio fra farsesco e drammatico come voleva l’autore dalla comicità così ambigua nell’apparente solarità. Il sostanziale addolcimento del personaggio si traduce in una notevole, sensibile, diminuzione della sua statura “eroica”. L’esilarante, ma anche terribile corpo a corpo di Argan con le sue fobie, il suo adibire ogni affetto, ogni gesto, l’intera realtà a scongiuro contro la malattia e la morte, scompaiono da questa versione, o vi sopravvivono solo come accenni, lasciando che al centro della rappresentazione si installino il piccolo, e di per sé, abbastanza insipido intrigo amoroso tra Angelica e Cleante e le furbizie della micidiale, onnipresente serva Tonina (una ipercinetica Anna Della Rosa).
“ll malato immaginario” di Molière, traduzione Cesare Garboli
regia Andrée Ruth Shammah
scene e costumi di Gianmaurizio Fercioni
luci di Gigi Saccomandi
musiche di Michele Tadini e Paolo Ciarchi
con Gioele Dix, Anna Della Rosa, e con Marco Balbi, Valentina Bartolo, Francesco Brandi, Piero Domenicaccio, Linda Gennari, Pietro Micci, Alessandro Quattro, Francesco Sferrazza Papa
Produzione Teatro Franco Parenti.
A Roma, Teatro Eliseo, fino al 17/12; il 7/1/2018 al Teatro Alfieri di Asti; dal 9 al 14/1 al Teatro alla Corte di Genova; il 16 e 17/1 al Theatre du Lac di Lugano.