Nessun prossimo ci sfiori invano
Qualche giorno fa una collega mi ha inviato un messaggio che diceva: «ho appena saputo in chiesa che è morto Giuseppe, il tipo che chiedeva sigarette e caffè, l’amico di Michele. Poverino…».
Mi è sembrato impossibile… ma anche questa volta è stata più forte la certezza che nulla avviene a caso e che certamente aveva compiuto il suo viaggio. Giuseppe, un uomo debole, con qualche ritardo mentale, era solito venire a intrattenersi fuori al nostro ufficio, con qualcuno che usciva per fumare e con noi stessi, quando nei momenti di pausa uscivamo a prendere una boccata di aria fresca.
Sensibilissimo, sempre sorridente, parlava un dialetto strettissimo, incomprensibile, e per questo faceva tanto ridere e divertire tutti, specialmente i nostri corsisti che venivano dal nord Italia. Nel quartiere lo conoscevano tutti, e gli volevano bene, perché nella sua semplicità, era capace di distrarre dai problemi quotidiani e di dare un altro senso alle cose, più leggero, più immediato. Semplificava tutto, con i gesti, con la sua eloquente mimica facciale e con i soprannomi che attribuiva a tutti, storpiando i nomi veri. E così anche noi ci chiamavamo in quel modo, per scherzare, e quando arrivava Riccardo, incominciavamo ad usare dei codici simpatici, divertenti che a lui piacevano e a noi consentivano di spezzare le lunghe giornate lavorative.
Certo non era una vita facile la sua, e per lui la nostra compagnia, i caffè offerti, le sigarette, i dolcetti o i cioccolatini che gli portavamo, erano un segno d’affetto, che altrove non riceveva. Qualche giorno prima della sua scomparsa è entrato in ufficio, all’ora della chiusura e con la collega abbiamo riso a crepapelle sentendo i suoi racconti. Era stato un giorno molto difficile per me. Dopo aver riso, ho pensato: «Giuseppe, con la sua semplicità di bambino, con la sua ironia, mi ha ridato un sorriso, fino a farmi dimenticare l’amarezza vissuta». Ed ho capito il significato della frase «nessun prossimo ti sfiori invano». E così sono andata via con questa gratitudine nei suoi confronti. Insperata, perché avevo sempre pensato che fossimo noi a dare qualcosa a lui.
Quando ho appreso della sua morte, ho pensato che ora sarebbe andato dove meritava, dove avrebbe trovato solo accoglienza e amore. E l’ha meritato, perché nonostante la sua malattia, era anche lucido e in qualche modo capiva sia quando veniva amato, sia quando veniva rifiutato. E nella sua difficile situazione era anche capace di ascoltare, di entrare in sintonia con le persone e di offrire nella leggerezza della diversità una fuga dalla realtà, che ridimensionava tutto.
Il lunedì successivo andando in ufficio ho visto lunga la strada il necrologio, e lì vicino altre persone del quartiere.
Ho chiesto informazioni e mi hanno detto che domenica mattina dopo la messa dei bambini, era andato insieme a loro a fare colazione al bar, dove avevano offerto delle torte. A Giuseppe piacevano molto i dolci. E pare sia morto soffocato mentre ne assaggiava uno. È stato un momento drammatico. Quando l’ambulanza è arrivata era troppo tardi. Si è spento sotto gli occhi dei bambini e dei baristi. Ho detto alla signora che mi stava raccontando l’accaduto, che sicuramente il buon Dio l’ha voluto prendere con sé. Probabilmente era pronto. E lei ha subito confermato le mie parole, aggiungendo che per noi che crediamo veramente in Dio, non può essere diversamente. E le riflessioni fatte nei giorni precedenti me lo confermavano. Anche ora ho il suo sorriso negli occhi. Un sorriso profondo e cosciente.
I racconti di chi lo conosceva, riportano tutti la stessa impressione. Al barista, che gli aveva offerto la colazione, aveva detto prima di morire: “ti voglio bene!” E il rivenditore di giocattoli dell’angolo ha confermato che quando arrivava lui, la giornata si rallegrava, facendo sembrare più leggere la fatica e le preoccupazioni del lavoro.
Su questa terra nessuno capita per caso, e anche le persone che, a volte, potrebbero sembrare insignificanti, o addirittura dei pesi, in realtà, ci aiutano a vedere la vita con occhi diversi, a ritrovare il senso di tutto nella semplicità dell’attimo presente, che contiene sempre in sé almeno un motivo per sorridere e ed essere felici di vivere.
Il lunedì successivo, sono arrivata in ufficio, e dopo aver sorriso con i colleghi ricordando le frasi più belle di Giuseppe e i momenti più gioiosi, ho girato la paginetta del mio calendario da tavolo e ho letto una frase di Santa Teresina che dice: “Guardiamo la vita nella sua vera luce: è un istante tra due eternità”. E l’attenzione ritorna al mio istante, ad ogni istante, nel quale posso fare della mia vita un capolavoro.