Il nervo scoperto della legge elettorale
La legge elettorale rimane per l’Italia un’anomalia e un nervo scoperto. Siamo gli unici che, in violazione di indirizzi internazionali, ne cambiamo una ogni legislatura; un nervo scoperto perché ben ricordiamo la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari, approvata con referendum e con l’impegno delle forze politiche della maggioranza di allora di ritornare al proporzionale.
Era settembre 2020, ma tanta acqua è passata sotto i ponti che ormai appare sopita la corsa al proporzionale. Se si sta alle dichiarazioni del nuovo segretario Pd (che ha espresso «nostalgia per la fase del bipolarismo centrodestra-centrosinistra»), l’avvicendamento di Zingaretti con Letta ha comportato l’aperto mutamento verso una legge maggioritaria, magari a doppio turno.
Il M5S, che si era fatto parte attiva nella stesura di una proposta proporzionale a ispirazione tedesca, ha dovuto rinunciare alla sua messa all’ordine del giorno visto che, al momento, a dichiararsi a favore c’è solo Forza Italia per bocca di Tajani (ma la situazione non è da ritenersi consolidata) e i partiti collocati dai sondaggi nella fascia bassa del consenso (Leu, Azione, Italia Viva…) non hanno reale motivo di dolersene, visto che la proposta prevede, come quella tedesca, una soglia di sbarramento al 5%. La Lega dal canto suo è certamente orientata verso il maggioritario, come pure Fratelli d’Italia che ha depositato una proposta in tal senso.
Oltre a queste, è da considerare però anche l‘opzione zero: lasciare il cosiddetto Rosatellum che, grazie a una legge “preventiva”, la n. 15 del 2019, è pienamente in vigore. Nel dicembre 2020 sono stati rideterminati i collegi elettorali, adattandoli alla nuova composizione della Camera e del Senato: si potrebbe pertanto votare domattina.
Ma il Rosatellum, che, ricordiamolo, è per il 36% maggioritario su collegi uninominali e per il 61% proporzionale su liste bloccate corte, offre l’opportunità di una sua valutazione, visto che è stato alla base dell’elezione dell’attuale Parlamento. Cosa possiamo osservare, a tre anni dal suo insediamento? Dal 1° giugno 2018 a oggi si sono succeduti, complice anche la pandemia, tre governi retti da tre maggioranze totalmente diverse, che hanno coinvolto via via tutti i partiti eccetto uno, FdI.
Questi accadimenti hanno una sola spiegazione ed è che le aggregazioni di liste, pur previste dal Rosatellum e presentate agli elettori, non hanno la forza di dar vita a vere coalizioni, restando aggregazioni elettorali. Infatti, i gruppi parlamentari sono stati formati sulla base delle singole liste, restando completamente autonomi, tant’è che ognuno ha operato le scelte politiche ritenute via via più opportune, a volte anche in palese contrasto con quelle degli alleati elettorali.
La resa sostanziale del sistema è stata quindi quella di un proporzionale, che si caratterizza proprio per spostare alla sede parlamentare la composizione delle maggioranze e le liste chiedono all’elettore un mandato molto ampio, quasi in bianco (per capirci: al contrario dello slogan “la sera delle elezioni sapremo chi ci governa”, qui vale “la sera delle elezioni – quasi – tutto diventa possibile su chi ci governa”).
Questa possibilità di “marciare uniti alle elezioni per colpire disuniti in Parlamento” se non altro qualora nessuna aggregazione dovesse conquistare la maggioranza, alla fin fine può allettare tanti, ma è un modo di procedere che nasce ambiguo nel suo principio. Meglio la chiarezza: se si vuole avere autonomia in Parlamento, valutando di volta in volta se entrare o no in una maggioranza, meglio passare direttamente a una legge proporzionale.
Se invece si ritiene più consono un sistema che spinge le liste più simili ad aggregarsi, coagulando così già durante le elezioni maggioranze possibili che si fronteggiano, si passi con altrettanta chiarezza a un sistema maggioritario. Politicamente parlando, l’operazione è possibile, visto che il tripolarismo che sembrava essersi determinato all’indomani del voto del 2018 è superato dalle scelte del M5S, che hanno archiviato il veto alle alleanze.
Si tratta di una scelta cruciale, una responsabilità che grava sui partiti, giacché Draghi, all’opposto di Conte, non ritiene che spetti al governo l’iniziativa in materia elettorale. Occorre “tifare” per una delle due vie? Qui si entra nella libera e personale valutazione. Il proporzionale attrae per l’attitudine a garantire rappresentanza, ma fa misurare con possibili, continui cambi di governo; il maggioritario è più versato a dare stabilità, ma tendenzialmente spinge il sistema verso un livellamento bipolare, che in Italia si è rivelato terribilmente rissoso.
Inoltre, un maggioritario dovrebbe presentare alcune accortezze per limitare l’eventualità, divenuta probabile con la riduzione dei parlamentari, che una sola parte possa avere i numeri anche per cambiare la Costituzione. Sistemi misti li abbiamo già sperimentati e finora non si è trovata “la quadra”. Conviene forse concentrarsi sulle garanzie da assicurare agli elettori: un voto trasparente, davvero libero nella sostanza e non solo nella forma. Un sistema, cioè, che sia pregiudizialmente atto ad avviare la ricostruzione di quel rapporto di fiducia che leggi elettorali precedenti hanno fortemente minato.