Nemesi
Philip Roth - Einaudi
Il trentesimo romanzo di Roth è ambientato nell’estate del 1944 in un quartiere e una comunità ebraica in cui la polio tronca le vite e paralizza gli arti dei giovani, mentre altri combattono la guerra oltreoceano.
Il protagonista, Bucky, insegnante di educazione fisica, combatte la sua personale battaglia. Non partito per la guerra a causa della vista incerta, finisce per iniziarne una con la polio e con sé stesso. L’assoluta impotenza dinanzi al morbo, la fragilità della condizione umana, l’assenza d’un senso credibile della vita provocano in lui una serie di domande su Dio e il male. Bucky intravede il suo futuro felice come insegnante, innamorato e ricambiato, ma si tortura nel chiedersi cosa fare: «Dio non ce l’ha una coscienza? Dov’è la sua responsabilità? Oppure lui conosce limiti?». Maturerà una fede in un Dio creatore eppure maligno, e un senso di colpa accecante che gli farà rinunciare ad ogni possibile via d’uscita dall’infelicità.
Solo la giovane fidanzata sembra capace di aprirsi alla felicità e sarà proprio lei ad evidenziare che non sono le situazioni tragiche a fermarci, ma la nostra rinuncia a sperare. Il narratore, che si dichiara ateo, comprende che tutto è nello sguardo di Bucky: «Doveva trasformare la tragedia in colpa. Doveva trovare una necessità a quanto accaduto. C’è una epidemia e lui ha bisogno di trovarne la ragione… per quanta compassione possa provare per il cumulo di calamità che gli avevano rovinato la vita, non si trattava altro che di stupida superbia, non la superbia della volontà o del desiderio ma la superbia d’una infantile, irreale interpretazione religiosa».
Eppure ai suoi occhi l’immagine del giovane professore di ginnastica, forte e sicuro di sé, resta incancellabile, nel lancio del giavellotto sempre oltre il limite appena raggiunto. Era per tutti i suoi ragazzi «invincibile».